Quello di Goldoni è uno spettro discreto, nella rilettura del Bugiardo firmata da Valerio Binasco, e interpretata dalla sua simpatica Popular Shakespeare Kompany, con la…
Quello di Goldoni è uno spettro discreto, nella rilettura del Bugiardo firmata da Valerio Binasco, e interpretata dalla sua simpatica Popular Shakespeare Kompany, con la quale il regista è approdato sulle scene a partire dal 2012 con La Tempesta, cui è seguito, l’anno dopo, Il mercante di Venezia.
Questo Bugiardo è il primo incontro della compagnia con un autore che non sia il Bardo: un banco di prova importante, che Binasco riesce a superare con una franchezza di intenti sbalorditiva. Che Goldoni sia un autore di indiscutibile modernità ce l’hanno spiegato in tutte le lingue possibili e immaginabili, ma francamente non è stato raro vedere i suoi guizzi intrappolati in versioni ed edizioni rigide e imbacuccate, o vocate in maniera incontrovertibilmente pigra a contemporaneità forzose e irritanti.
Il Bugiardo di Binasco – non è un caso se, tra i registi italiani, il suo sia uno dei nomi più interessanti – è un’opera che prende quel che di buono ha il testo goldoniano, e lo disseziona con garbo, declinandolo su una messa in scena rispettosa sì, ma anche tremendamente efficace. E non è facile: Goldoni è Goldoni, come ricordato sopra. E il regista riesce a dare al suo allestimento un’ispirazione tagliente e linguacciuta, senza sacrificare momenti di pura brillantezza, e di sano vigore ironico – accentuato dall’utilizzo del dialetto veneziano che pare nato per la scena.
La società e le sue molteplici contraddizioni sono i veri protagonisti non solo dell’opera di Goldoni, ma anche e soprattutto della versione di Binasco: il suo Bugiardo, che trova nella performance di Maurizio Lastrico uno delle sue intuizioni più felici, è uno spettacolo finalmente vivo e gioioso. Lastrico riesce a equilibrare in maniera credibile tutti gli aspetti di un personaggio sfaccettato e amabilmente «menzognero», come gli viene ripetuto più volte durante lo spettacolo.
Quello che sbalordisce, però, è come l’intero cast che si muove attorno alle sue bugie sia tremendamente in forma: non c’è una nota stonata, una voce fuori dal coro, un’ombra meno definita. Tutti gli attori incarnano alla perfezione le disomogeneità di menzogne, riscatti, dolori, manipolazioni, le mancate quadrature di un cerchio chiamato amore – che spesso però si declina in possesso, gelosia, prepotenza. Binasco, regista intelligente e capace di generare virtuosismo in sottrazione, li immerge in una messa in scena aggraziata e morbida nonostante le storture, al centro di un omaggio dolce, quasi d’altri tempi. La sua regia si muove delicata tra i balconi cui dedicare serenate, e tra i sotterfugi che sospirano sul Canal Grande. Le maschere sono praticamente sparite, trasfigurate in elementi di pura, cattivissima umanità: Binasco spiazza con la sua totale inclinazione a spiattellare misteri, furti di sentimenti e crudeltà, ruoli fondanti della commedia tanto quanto i personaggi «in carne e ossa». E stabilisce un passaggio importante: quello del Bugiardo è un inno spietato all’egocentrismo. Di tutti: innamorati, menzogneri, servi, servette, mercanti, uomini, donne.
Quello che ci interessa sono geometrie, proiezioni, sentimenti e menzogne che afferiscano alla nostra sfera individuale, prim’ancora che a quella degli altri. Una verità vecchia come il mondo, insomma, ma che Goldoni ha saputo esprimere con grazia, ispirandosi a La verdad Sospechosa (1621) di Juan Ruiz de Alarcón. Sui suoi passi si è mosso anche Binasco: la sua è una visione ironica e brillante, ma anche soffusamente cupa: è proprio nell’oscurità, infatti, che si insidia il germe della falsità, delle trame più intricate, delle matasse senza bandolo. Anche quando davanti abbiamo il gran giuoco dell’amore. In fondo è la vita, e spesso ci dicono che viene anche prima del teatro. O no?
(la foto nell’articolo è di Laureri)
Il bugiardo di Carlo Goldoni, regia di Valerio Binasco, all’Elfo Puccini fino al 13 marzo