Con Building Bridges, Andras Schiff accantona i concorsi pianistici e propone un nuovo modo per lanciare la carriera di giovani talenti
L’idea nasce dal pianista Andras Schiff e ha l’obiettivo di promuovere e far conoscere giovani talenti al di fuori del sistema dei concorsi internazionali. Il grande pianista ungherese con il progetto Building Bridges, al debutto lunedì e ieri e di scena di nuovo questa sera con l’ultimo appuntamento al Teatro dei Filodrammatici di Milano, diventa mecenate d’eccezione presentando personalmente nuovi talenti musicali al pubblico e agli operatori di settore con l’intento di dar loro visibilità e creare contatti utili per la loro professione.
Qualsiasi studente di conservatorio o di accademia più o meno prestigiosa sa che per diventare pianista di successo devi avere talento, farti un mazzo tanto e sperare di vincere qualche concorso, di quelli davvero importanti tipo lo Chopin di Varsavia, il Cleveland o il Van Cliburn in America, il Tchaikovsky di Mosca.
Ultimi esempi illustri sono Daniil Trifonov, Lucas Debargue e, per essere un poco patriottici, la nostra Beatrice Rana. Personaggi come Lang Lang e Yuja Wang, pianisti straordinari il cui successo però non è legato al tal concorso pianistico, sono solo eccezioni che confermano quello che ormai da quasi un secolo è un “sistema” consolidato che non di rado però ha mostrato decisi scricchiolii.
Il concorso pianistico è infatti un’esperienza fortemente stressante dove i nervi fanno spesso la differenza. Convincere una giuria variegata vuol dire cercare soluzioni musicali che vadano bene a tutti. Per questo sensibilità, bizzarrie, scelte programmatiche e musicali non convenzionali raramente premiano, e così ci si trova spesso davanti a vincitori che sono macchine da guerra incapaci però di far breccia nei cuori sempre più esigenti del pubblico del XXI secolo.
Per non parlare dell’enorme quantità dei concorsi nel panorama mondiale che lancia sulla scena musicale una quantità spropositata di pianisti con il rischio che se ne perda qualcuno davvero meritevole per strada.
E forse non è un caso dunque che una proposta innovativa come i Building Bridges venga proprio da Schiff, concorrente sì al Leeds Piano Competition del 1975 ma certamente noto al grande pubblico per la carriera costruita “sul campo” con le magistrali interpretazioni bachiane degli esordi e i cicli beethoveniani, schubertiani e schumanniani sottoposti al pubblico nei tanti anni di carriera.
Lunedì è toccata a Michael Brown, giovane pianista newyorkese definito dal New York Times “uno degli esponenti principali dell’attuale rinascimento della figura del compositore-esecutore”. Facendo leva su questa sua duplice veste, Brown ha proposto un programma creativo, in cui grandi classici di Beethoven e Mendelssohn si sono combinati in una curiosa alternanza con opere di Bernstein e composizione sue.
Più tradizionale, invece, la proposta di Mishka Rushdie Momen che martedì sera ha proposto un recital all’insegna di Mozart, Janacek, Schumann e Beethoven. Di origini iraniane, nata a Londra, Mishka si è affermata in moltissimi concorsi ed è alla ricerca di nuovi palcoscenici per farsi conoscere. Quello che Schiff ha sicuramente intravisto è un talento dalle grandi potenzialità comunicative, con ampi margini per un’ulteriore maturazione.
Last but not least, questa sera chiude il breve ciclo la pianista Dinara Klinton, ultima stella nascente della scuola russo-ucraina, vincitrice di premi ai concorsi Busoni e Chopin, accolta con plauso in festival importanti come Rheingau, Ravello e La Roque d’Antheron. Il programma del concerto alterna brani gettonati come una selezione di studi trascendentali di Liszt a perle di infinita bellezza, poco battute nelle sale da concerto, come la sonata “A Teresa” di Beethoven.
28 settembre – Teatro dei Filodrammatici – Building Bridges, Dinara Klinton
Immagine di copertina; a sinistra Dinara Klinton, al centro Michael Brown (credit Neda Navaee), a destra Mishka Rushdie Momen