Uno spettacolo sul mondo della (mancanza) del lavoro con Farneto Teatro illustra le condizioni disagiate dei giovani come in un lungo tiggì al servizio di una cronaca del reale ben conosciuta
Forse le doti profetiche di Fellini avevano già previsto tutto e forse il gesto di scherno che Alberto Sordi rivolge ai lavoratori in I Vitelloni potrebbe essere interpretato come la risposta a noi riservata da parte del desolante scenario lavorativo italiano, divenuto fulcro dello spettacolo Buon Lavoro di Farneto Teatro.
L’incontro con i lavoratori odierni, ben diverso da quello con Sordi, viene affidato a un gruppo di giovani attori, (Lorenzo Frediani, Marta Lunetta, Giuseppe Palasciano, Emilia Scarpati Fanetti, Silvia Valsesia) alcuni più sciolti e spigliati di altri, guidati da una quasi materna Elisabetta Vergani.
Secondo la propria dichiarazione d’intenti, l’opera teatrale si prefigge un costante aggiornamento di pari passo con l’evoluzione del panorama italiano, prendendo sembianze da reportage e affidando i racconti di cui si fanno portavoce gli attori, alla riuscita interazione con la fisarmonica suonata da Giulia Bertasi.
Una continua carrellata di immigrati sfruttati, badanti umiliate, vecchi costruttori di ferrovie e stagiste, tante stagiste e stagisti sfruttati si sviluppano su una coppia di schermi, parte di una scenografia mutevole.
Lo spettatore viene mitragliato da una quantità eccessiva di dati e cenni storici, calandolo, suo malgrado, nell’atroce esperienza di un telegiornale flash della durata di due ore e mezza. Il grande latitante italiano, noto anche come “Il Lavoro”, viene rappresentato con un pessimismo quasi leopardiano: attraverso un caleidoscopico scorcio, Buon Lavoro mostra tutto il disfattismo, la passività e la mancanza di iniziativa di cui sono capaci gli italiani, nascondendo l’ambizione, la forza di volontà e l’ingegno che caratterizzano il nostro popolo.
E quando i toni tragici non risultano sufficientemente efficaci, ecco che viene piantata l’asta di un microfono, in compagnia di un bel leggio: le vittime del lavoro e le conseguenze dell’Eternit e dell’Ilva vengono ricordate da una voce struggente, scandita da lunghe pause, rincarando la dose di contagiante depressione.
L’aridità del mondo lavorativo italiano è fin troppo risaputa e lo spettacolo creato in collaborazione con C.G.I.L. ne propone una visione consueta, una rappresentazione della realtà a cui lo spettatore è ormai assuefatto, vivendo a contatto con i principali mezzi d’informazione.
Un briciolo di ironia in più avrebbe creato l’occasione per una riflessione spontanea e meno forzata sulle sorti di un paese in cui vige la legge del “chi si accontenta gode”; laddove le persone sono stanche della propria condizione e rimangono assetate di contratti, stage, pensioni e chiuse fuori da un mondo del lavoro sommerso quanto l’Atlantide descritta da Platone.
L’Italia odierna necessita ingegno, intraprendenza e una prospettiva futura, mentre la realtà descritta è quella in cui l’augurio e la speranza di un “Buon Lavoro” sembrano opzioni ormai remote e dove non ci resta che rassegnarci a questa condizione.