La danza romantica per eccellenza stimolava anche gli innovatori del 900. Alla Verdi la partitura del compositore italiano
È un assioma ben radicato in ognuno di noi. Valzer uguale danza in tre quarti, tipica della seconda metà dell’800, diffusa in ambiente aristocratico, veicolo per conquiste amorose attraverso la possibilità di un contatto fisico “autorizzato” (i film sulla principessa Sissi offrono innumerevoli esempi).
E il ballo finale de Il gattopardo sembra segnare l’epilogo di un’epoca: il valzer tra Claudia Cardinale (l’umile Angelica) e Burt Lancaster (don Fabrizio, il Principe di Salina) sembra essere il canto del cigno sull’egemonia politica dell’aristocrazia, sempre più soppiantata da una nuova classe dirigente. La fine del valzer quindi?
La risposta è no e a dircelo è la Verdi con l’ultimo concerto per la stagione Made in Italy. «Busoni ha scritto valzer, ma anche – e qui ha veramente dell’incredibile – Schonberg, Berg e Webern» ci dice Giuseppe Grazioli, direttore d’orchestra e organizzatore della rassegna. Si tratta per lo più di trascrizioni ma è comunque sintomatico di una passione per il ritmo ternario che non era scemata anche con l’avvento del ‘900 e della dodecafonia.
«Ferruccio Busoni una sera del 1920 stava passeggiando per le vie di Berlino e fu attirato dalla musica proveniente da un caffè. All’interno un pianista e un violinista allietavano la serata con valzer di J. Strauss. Le melodie rimasero tanto impresse nella sua mente che non riuscì a dormire e scrisse in poche ore il Tanwaltzer».
Un inizio oscuro, che in certi punti ricorda quasi l’incipit di Also sprach Zarathustra dell’altro Strauss, si tramuta nel radioso primo tema di valzer affidato all’oboe. Una scrittura paratattica (periodo costruito con frasi dello stesso ordine, coordinate tra loro), come il ‘900 insegna, caratterizzata da un’orchestrazione magistrale.
E la seconda scuola di Vienna che cosa c’entra? «Nel 1921» continua Grazioli «Schonberg, Webern e Berg fondarono un “associazione per esecuzioni musicali private”, un’alternativa ai grandi concerti pubblici dove proporre opere nuove di compositori emergenti (tra gli altri Stravinskij e Debussy). La necessità di trovare fondi, portò i tre a organizzare una serata straordinaria dedicata ai valzer di Strauss.
I manoscritti delle trascrizioni furono poi battuti all’asta: 9.000 corone per Schatzwaltzer di Webern, 5.000 per Wein, Weib und Gesang di Berg, e 17.000 per varie riletture di Schonberg.»
Riorchestrazioni che ognuno dei tre risolve a modo suo. Webern punta sull’estrema essenzialità, con una meravigliosa scrittura per quartetto d’archi sostenuta da pianoforte e harmonium. Berg non rinuncia, invece, alla tradizione ottocentesca, con un inizio quasi brahmsiano e sezioni nel solco della tradizione del corale tedesco delle evocazioni schumanniane.
Schonberg è quello che forse osa di più, con geniali dialoghi tra archi e fiati (flauto e clarinetto) che quasi mascherano l’essenza del valzer.
Per quanto riguarda il Tanwaltzer di Busoni la direzione di Grazioli è capace di giocare molto bene sul ritmo con microvariazioni di velocità e, nel contempo, riesce a far fluire le melodie con una libertà che la rigidità ritmica della danza non rende così scontata.