Non solo compositore. Anche pittore, poeta, romanziere, regista teatrale e di film, attore, cantante, scenografo, costumista. Il grande musicista è stato un artigiano alla maniera rinascimentale ma anche, in pieno Novecento, l’ultimo dei romantici. A proposito di un libro – “vetrina” (che sarebbe molto piaciuto all’artista) curato da Maddalena Novati e Marina Vaccarini, infaticabili animatrici dell’associazione NoMus
Al centro della sua nuova fatica editoriale, di grande valore per la ricerca intorno al Novecento musicale, NoMus mette questa volta il musicista Sylvano Bussotti.
Tra gli artisti che hanno animato la vita teatrale italiana nella seconda metà del ‘900 Bussotti (1931 – 2021) occupa una posizione particolare. Personaggio straordinario e indefinibile, la cui costruzione narrativa è molteplice e plurale così come lo è stata la sua vicenda artistica: non solo compositore, ma anche pittore, poeta, romanziere, regista teatrale e di film, attore, cantante, scenografo e costumista.
Bussotti è egli stesso un’opera d’arte. Totale. Come molti autori del passato, egli compone e ricompone, cita e si autocita di continuo senza mai arrivare a una versione definitiva del proprio lavoro: è un artigiano nel senso rinascimentale e barocco del termine ma per l’originalità della sua poetica può essere definito l’ultimo romantico.
Sylvano Bussotti Respirando Appagato però non è un libro su o di Bussotti premettono le curatrici Maddalena Novati e Marina Vaccarini in quanto sono già numerose le pubblicazioni sul poliedrico artista. Cos’altro si può dire o scrivere di un “personaggio” di cui si è già detto molto (certo non tutto)? Cos’altro si può scrivere di «un artista che ha fatto della propria vita un’opera d’arte e che, per tutto il corso della sua esistenza, non ha fatto altro che raccontarla attraverso il suono, la parola, il segno grafico, il gesto teatrale, l’immagine, filmica, il colore, l’abito, il portamento, l’eloquio»?
Novati e Vaccarini rispondono componendo “una sorta di vetrina” che – partendo dal fondo Bussotti, entrato a far parte dell’Archivio dell’associazione milanese in tre fasi, tra il 2019 e il 2023, grazie a una donazione di Rocco Quaglia – racconta le diverse sfaccettature del poliedrico musicista con una serie di contributi, testimonianze e soprattutto una ricca documentazione immaginifica del suo mondo (proveniente dall’Archivio NoMus, dall’Archivio Storico Ricordi e dall’Archivio Storico del Teatro alla Scala).
«L’obiettivo del libro è mettere in parole la complessità, rotonda e poliedrica, della esperienza creativa di Sylvano Bussotti», scrive Annalisa Rossi Soprintendente archivistico e bibliografico della Lombardia e Direttore dell’Archivio di Stato di Milano in uno dei testi che introducono al volume.
La sfida, non priva di difficoltà, con cui l’opera ha dovuto cimentarsi è stata l’imponenza e varietà del corpus bussottiano.
Sylvano Bussotti, 1978 (@Wim Riemens, Archivio Storico Ricordi)
Non è possibile incasellare il suo mondo in categorie o compartimenti stagni, in quanto siamo di fronte a un artista che «ha una personalità “sferica”, che non segue un percorso lineare». E aggiungono le due curatrici: «nel Bussotti fiorentino che firma le Sei bacchiane op. 1 nel 1945 c’è già tutto intero il “Sylb” del XXI secolo perché nel presente di Bussotti convivono simultaneamente il passato e il futuro, il disegno e la musica, il cinema e la scrittura, il teatro e la poesia». Così come opere più tarde sono già prefigurate nelle pagine dei suoi Diari giovanili.
I diari sono per l’appunto al centro dei Due paragrafi bussottiani, raccolta di appunti e idee a cura di Marina Vaccarini. Un vero e proprio excursus tra i pensieri del Maestro annotati durante il 1958. Un altro documento prezioso è la trascrizione di alcune lezioni tenute da Sylvano Bussotti alla Scuola di Fiesole, dove fu attivo come didatta dal 1982 al 1991, che permette di indagare al meglio la sua poetica attraverso le parole dell’artista totalizzante.
A proposito della misteriosa partitura de Le tredici trame, Bussotti nelle lezioni del 16 e 17 maggio 1990 riassume il suo complesso rapporto con il testo, mai concluso:
Dunque, queste Tredici trame mi auguro costituiscano anche per me un esercizio a lasciar cadere quello che non è indispensabile. Non vi sto a dire l’affollamento nella mia testa di scopi, falsi scopi, di segrete cose, su ciascuna di queste. Quante idee si affollano per entrare nell’una o nell’altra, per scalzarne altre e quale microcosmo infatti queste rappresentino. Quale anche estrema incognita, perché se io mi impongo l’autodisciplina, la più severa possibile, e mi impegno più o meno pubblicamente facendo pubblicare diagrammi con titoli […] chi lo sa se poi, arrivati alla partitura conchiusa, alla rappresentazione, alla ripresa filmica eccetera, il risultato poi somiglia magari lontanamente a quello che era il punto di partenza.
Sylvano Bussotti, Apology
Come emerge da queste parole, nella concezione teatrale “aperta” di Bussotti, la versione definitiva di un’opera non esiste. Ogni rappresentazione è un unicum e la partitura è solo un canovaccio (così insegna la migliore tradizione operistica barocca), una strada da seguire suscettibile di adattamenti in base al luogo della rappresentazione e ai mezzi disponibili.
A testimonianza di queste considerazioni, le autrici hanno deciso di allegare al libro la registrazione in due diverse versioni di una delle opere teatrali del Maestro più riuscite, La Passion selon Sade. La storica rappresentazione al Teatro Biondo di Palermo del 1965 con Cathy Barberian nei ruoli di Justine, O e Juliette e la registrazione dal vivo degli extraits del concert effettuata dalla Rai di Milano il 6 febbraio 1979.
In copertina: Sylvano Bussotti, particolare di Autoquartetto. Manoscritto autografo 1996-97 (@Archivio NoMus, Fondo Bussotti)