Millennials, a noi: la nuova sfida della tv generalista è ricatturare la generazione Y in fuga dallo schermo
Flashback al 17 dicembre: (immaginarie) scene di esultanza ai piani alti di viale Mazzini. Tarantola estrae il foglio con i dati Auditel e strilla «Roberto!», mentre Gubitosi inizia ad arrampicarsi sulle sedie del proprio ufficio come fece Benigni il giorno dell’assegnazione degli Accademy Award per il film La vita è bella. Roberto Benigni e I dieci comandamenti hanno sbancato nelle serate del 15 e 16 dicembre: oltre 10 milioni di spettatori e lo show di Rai 1 secondo programma più visto dell’anno perché nemmeno un premio Oscar può scalfire il primato di Sanremo. Evento straordinario ai tempi dello spettatore in fuga: come dimostrano le rilevazioni di Auditel, elaborate da Nielsen Tv Audience Measurement, il complesso delle reti generaliste ha perso importanti quote di ascolto. Nel 2007 la share era superiore all’85%, nel 2013 il dato è sceso a poco più del 62%, complice anche il passaggio al digitale terrestre.
L’incremento dell’offerta televisiva ha causato la frammentazione degli ascolti: oggi lo spettatore abbandona la tv generalista (Rai, Mediaset) a favore delle emittenti tematiche (Real Time, Dmax), che rispondono meglio ai suoi gusti e ai suoi interessi. Si tratta di una “seconda rivoluzione copernicana” come ha sostenuto l’esperto di comunicazione Carlo Freccero in un’intervista a Il Tempo. La tv generalista raccoglie il massimo dell’audience in un unico momento, mentre le reti tematiche hanno un numero di telespettatori minore ma fedele quindi, in base alla teoria della coda lunga tipica della pubblicità, secondo Freccero «i grandi numeri si costruiscono con una serie di passaggi successivi nel tempo» e gli ascolti diventano “cumulativi”.
Se cambia l’audience, è necessario un nuovo metodo per misurarlo. Nel 2014 Auditel ha lanciato il Super Panel. Il progetto amplia il campione di rilevazione dei dati di ascolto, passando dalle attuali 5.600 famiglie a oltre 15.600, e fornisce a 10 mila famiglie un nuovo apparecchio di rilevazione (meter), che registra automaticamente il consumo televisivo. I dati vengono poi utilizzati per l’“individualizzazione”: con un modello probabilistico basato sui parametri standard di misurazione dell’audience, si elabora la percentuale di ascolto di ogni membro del gruppo familiare per rilevare i target specifici del pubblico televisivo a beneficio della raccolta pubblicitaria, indispensabile per ogni emittente.
La diminuzione degli ascolti non è conseguenza soltanto dell’introduzione del digitale terrestre. A causare la crisi della tv generalista è stata anche la diffusione di nuovi dispositivi come tablet e smartphone. Questi strumenti permettono di accedere ai contenuti televisivi ovunque per condividerli con amici o commentarli in tempo reale sui social network. Pensiamo poi ad un telefilm: è sufficiente avere un pc collegato a internet per vedere in streaming il proprio show preferito, senza aspettare che venga trasmesso in televisione. Siamo nell’ era del binge watching: la pratica che consiste nel vedere tutti gli episodi di una serie tv in un lasso di tempo ristretto. Ciò significa che ogni utente può creare il proprio palinsesto, esattamente come accade anche su Youtube, piattaforma che insieme a Facebook e Twitter calamita l’attenzione dei più giovani, i cosiddetti Millennials.
Perciò è proprio sulla Generazione Y che le tv generaliste dovrebbero puntare per ritrovare gli spettatori perduti: producendo programmi incentrati sui tutorial con protagonisti i più noti Youtuber, come Favij o Willwoosh, oppure trasmettendo le serie tv sottotitolate e in contemporanea con i Paesi che le producono, ad esempio gli Stati Uniti.
Immagine di copertina di Sven Scheuermeier