African Soccer Club

In Letteratura

Splendori e miserie del continente africano visti attraverso il più bel gioco del mondo e i racconti dell’antologia “La felicità degli uomini semplici”

Qualche giorno fa rovistavo alacremente nei cassetti della mia memoria calcistica. Stavo cercando una voce precisa dello schedario mnemonico dentro al quale sono archiviati i miei ricordi gioiosi e alcuni dettagli minuti che tuttavia ancora oggi hanno il potere di far male e di risvegliare vecchi rancori. Tralasciando la voce “scudetti vinti”, il dolorosissimo scomparto “golden gol” e la nerissima voce “finali di Champions League perse”, ho trovato ciò che stavo cercando: “calcio africano”. Dall’interno sono affiorati alcuni colorati ricordi che mi hanno portato indietro nel tempo. Ho sentito l’eco della risata che proruppe dal divano strapieno di amici quando, durante il primo incontro del Mondiale 2006, Totti e compagni vennero contrastati da un Gattuso ghanese dal nome improbabile: Razak Pimpong. Ho rivisto le maglie verdi della nazionale nigeriana che, a metà degli anni ’90, era fra le più forti del mondo; i suoi campioni – Kanu, Taribo West, Okocha, Ikpeba, Oliseh – rispondevano in modo egregio ai miei comandi durante le interminabili partite che giocavo a FIFA: Road to World Cup 98. Ho sentito, infine, uscire dallo scomparto un suono prolungato, fastidioso come quello di uno stormo di zanzare; era il suono delle vuvuzela, le trombe di plastica il cui tono accompagnò ogni misera partita giocata dagli Azzurri al Mondiale 2010, il primo della storia disputato in terra africana.

Forte di una manciata di ricordi, ho aperto Google per effettuare una veloce ricerca online. Avevo bisogno di immagini per il mio articolo. Alla voce “calcio africano”, Google mi ha presentato una lunga lista di fotografie che non ha nulla a che vedere con i miei ricordi. Non ci sono le vuvuzela, non ci sono i colori sgargianti delle divise, non ci sono i volti dei campioni; dove sono finiti Weah, Drogba e Yaya Touré? Paiono scomparsi i nomi e le caratteristiche che gli appassionati ricordano con piacere, sembra che non ci sia posto per il bizzarro, l’atleticità, lo spirito e le imprese delle nazionali riunite sotto l’egida del CAF. Al contrario, le foto ritraggono infinite variazioni di un unico soggetto: un gruppo di bambini di colore che gioca a calcio nella polvere. Mi sono fermato a pensare per qualche secondo. Anch’io, in fondo, avevo in mente quella precisa immagine, assorbita dopo averla vista in tutte le salse in televisione, sui giornali e online. Il meccanismo in azione mi è parso subito ovvio: una sostituzione brutale degli attributi calcistici con quelli sociali. O meglio: il calcio utilizzato come specchio della società, e dei suoi difetti. Ancora più azzeccato: il calcio utilizzato come rappresentazione – generalista e pregiudiziale – delle miserie apparentemente immortali di un intero continente. Il suono delle vuvuzela, ancora udibile alle mie orecchie, si è d’improvviso affievolito.

TOPSHOTS A Democratic Republic of the Congo fan cheers for his team during the 2015 African Cup of Nations group B football match between Cape Verde and Democratic Republic of the Congo in Ebebiyin on January 22, 2015. AFP PHOTO / KHALED DESOUKIKHALED DESOUKI/AFP/Getty Images ORG XMIT: 528433287
A Democratic Republic of the Congo fan cheers for his team during the 2015 African Cup of Nations group B football match between Cape Verde and Democratic Republic of the Congo in Ebebiyin on January 22, 2015. AFP PHOTO / KHALED DESOUKIKHALED DESOUKI/AFP/Getty Images ORG XMIT: 528433287

È mai possibile che oggi, nel 2016, gli occidentali vedano passare davanti agli occhi immagini di questo tipo in risposta all’associazione di parole calcio e Africa? A quanto pare sì; siamo pieni di dettagli scaturiti da queste immagini: il pallone di stracci, le porte senza traversa né rete, i piedi scalzi nella polvere, le maglie di Messi, le baraccopoli sullo sfondo, qualche campione del calcio europeo attorniato da ragazzini sorridenti. Io stesso, quando iniziai a leggere La felicità degli uomini semplici, lo immaginai corredato da una di queste fotografie “molto africane”, proprio perché esse veicolano una storia che in un modo o nell’altro tutti conoscono: la storia della povertà, il mito del pallone come via d’uscita dalla miseria, gli stati europei come lontano miraggio in grado di attrarre i sogni di milioni di ragazzini. Un certo realismo pragmatico ci suggerisce che così stanno le cose, che su quei campi da calcio in terra sono davvero cresciuti dei campioni la cui vita è la concretizzazione di questa storia; tuttavia, sembra dirci un’altra voce, il calcio in Africa non è soltanto questo. Anzi.

In una conferenza TED diventata in poco tempo popolarissima, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie espresse le sue perplessità su quella che lei chiama “single story”, la storia unica. Il pregiudizio, disse l’autrice di Metà di un sole giallo, non è errato a priori, bensì risulta molto spesso incompleto. Pensare che l’Africa sia un continente in cui la povertà è diffusa e affligge milioni di persone non è pensare il falso. L’errore sta nel sostenere che questo aspetto sia l’unico, e che sia preponderante rispetto agli altri. Il medesimo ragionamento di Adichie può essere applicato alle immagini che qui da noi, in Europa, abbiamo del calcio giocato dal Marocco al Madagascar. Accanto alle fotografie dei bambini che corrono dietro a un pallone nella polvere, esistono centinaia di altre istantanee che potremmo scegliere per vedere e comprendere un aspetto del gioco più bello del mondo nella sua versione ghanese, nigeriana, togolese o tanzaniana. Come sempre, la letteratura ci viene in soccorso laddove pecchiamo di pigrizia e quando ci impediamo di immaginare altre storie, altre realtà, altre vicende.

TOPSHOTS A Ghanaian fan poses before the start of the 2015 African Cup of Nations group C football match between Ghana and Algeria in Mongomo on January 23, 2015. AFP PHOTO / CARL DE SOUZACARL DE SOUZA/AFP/Getty Images ORG XMIT: 528433491
TOPSHOTS A Ghanaian fan poses before the start of the 2015 African Cup of Nations group C football match between Ghana and Algeria in Mongomo on January 23, 2015. AFP PHOTO / CARL DE SOUZACARL DE SOUZA/AFP/Getty Images ORG XMIT: 528433491

Il progetto della casa editrice romana 66thand2nd, pubblicato in occasione degli Europei 2016, è dunque il libro perfetto per scoprire quanto di “altro” c’è in numerosi paesi africani. Al timone della proposta – il cui titolo, La felicità degli uomini semplici, prende spunto dal racconto conclusivo di Boualem Sansal – c’è Alain Mabanckou, scrittore e poeta congolese molto noto in Francia. I quindici racconti che compongono la raccolta provengono da alcune delle penne più audaci e in ascesa che la letteratura africana – impossibile sostenere che ne esista una soltanto –, abbia dato alla luce negli ultimi decenni. In Koli Jean Bofane, Noo Saro-Wiwa, Sami Tchak e colleghi dipingono un affresco che ha la variopinta eterogeneità dei tifosi che affollano gli stadi di Lagos, Kinshasa e Città del Capo. Inoltre, le storie raccontate, siano esse pura fiction o brevi reportage simil-giornalistici, trasportano il lettore in un viaggio che ha tappe e itinerari comuni, ma che sorprende sempre per la sapiente alternanza di generi e di stili o per le voci molto diverse con cui gli autori raccontano il loro calcio, le loro esperienze o episodi di vita quotidiana svoltisi in scenari impensabili.

Ecco dunque le immagini più comuni e note: i ragazzini, il calcio povero e il contrasto con il resto del mondo – quasi sempre bianco e occidentale. Se Lucy Mushita è abile nel raccontare l’epopea di una squadretta che si dota di scarpini nel bellissimo Le donne fuori dal campo, Helon Habila è altrettanto capace di prendere il lettore di pancia, mostrandogli la realtà delle baraccopoli di Lagos e la violenza che vi regna in La finale. Racconto dopo racconto, la verità espressa da Adichie diventa sempre più chiara: nuovi elementi, curiosità e vicende arricchiscono i mondi su cui saltellano palloni da calcio e nelle cittadine in cui l’intera comunità assiste alle partite delle competizioni internazionali. Senza dimenticare violenza, razzismo (una coltellata il brano di Yahia Belaskri), religione e corruzione, c’è spazio per divertenti stratagemmi sovrannaturali, per poetiche dissonanze fra multinazionali e tradizione e, infine per una velocissima quanto esilarante diatriba londinese con finale a sorpresa. È assolutamente impossibile resistere alla tentazione di accompagnare la lettura con qualche ricerca online, che si tratti di un famoso gol disponibile su YouTube, di una vecchia partita le cui statistiche sono consultabili su Wikipedia o della bibliografia di un autore finora sconosciuto la cui prosa risulta a tratti sorprendente. La lettura di questa antologia è una vera e propria «riconquista del nostro umanesimo», come il curatore Mabanckou definisce la vittoria più importante che la letteratura ci permette di ottenere. La felicità degli uomini semplici consente di animare l’immagine che Google ci fornisce, dando un nome a quei ragazzini e al campo in cui stanno giocando; una semplice azione che apre le porte di nuovi mondi: lontani, complessi e affascinanti.

Ghana fans cheer their team during their African Nations Cup Group B soccer match against Mali at the Nelson Mandela Bay Stadium in Port Elizabeth January 24, 2013. REUTERS/Siphiwe Sibeko (SOUTH AFRICA - Tags: SPORT SOCCER)
Ghana fans cheer their team during their African Nations Cup Group B soccer match against Mali at the Nelson Mandela Bay Stadium in Port Elizabeth January 24, 2013. REUTERS/Siphiwe Sibeko (SOUTH AFRICA – Tags: SPORT SOCCER)

Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano ha scritto un bel libro che si chiama Splendori e miserie del gioco del calcio. Il testo, scritto da un tifoso e da un fervente sostenitore della sponda latinoamericana del gioco più bello del mondo, è latore di un messaggio rivoluzionario che ha come obiettivo lo scardinamento del potere che l’Europa (vale a dire la FIFA) esercita sul mondo calcistico. Anche nella raccolta La felicità degli uomini semplici è presente un messaggio simile. Nel primo racconto – dal titolo alquanto provocatorio: I bianchi non capiscono niente di calcio – si sta svolgendo la più sonora sconfitta mai vista in un Mondiale: il 9 a 0 rifilato dalla Jugoslavia allo Zaire nel ’74 in Germania. Lo stregone al seguito dei “leopardi” si lamenta dicendo che «finché l’Africa continuerà a fidarsi dei bianchi, prima e durante le partite, finché disdegnerà i propri valori, non farà mai passi avanti». Mabanckou e colleghi, scrivendo questi racconti, sono riusciti a eliminare la single story e, con una mossa simile alla virata post-coloniale, sono riusciti a rendere al meglio la varietà troppo spesso dimenticata della cultura dei loro paesi col dizionario (universale) del calcio. Sono riusciti, in poche parole, a mostrare che le Super Aquile, le Stelle Nere, i Leoni Indomabili e le tutte le altre nazionali del continente compongono un “African Soccer Club” variegato, splendido e ricco di storie.

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