Con Maria e Luchino, alla Scala

In Musica, Weekend

callas la scala

60 anni fa, 1954, La Vestale di Spontini inaugura la stagione. Lei era la Callas, lui Visconti, chiamati per nome e amati, per la loro verità, dall’intera città

Una vestale nel suo ruolo e nei suoi riti, ma paradossalmente moderna. Che si muove senza enfasi, imponendosi anche per questo. Unica, nel suo genere fuori registro. Chi la guida ad essere così, almeno per qualche ora, è un uomo di quasi cinquant’anni, bruno, con un profilo dritto, da capitano di ventura del primo Rinascimento. Li si racconta qui, con la massima ammirazione e usando il presente storico, per una serie di ragioni a loro modo indimenticabili. Si incrociano a Milano nei primi anni Cinquanta, e lì diventano una coppia teatrale dove il primo piano delle qualità dell’una e dell’altro più che gareggiare, trionfano allacciate. Debuttano insieme la sera del 7 dicembre di 60 anni fa sul palcoscenico della Scala, per la “prima”della stagione lirica del 1954.

L’opera che apre è, appunto, La vestale di Gaspare Spontini: un melodramma classico dei primi dell’Ottocento, creato per l’Opera di Parigi, e considerato, un po’ malignamente, l’opera maggiore di un musicista non di prima fila. Lei, la vestale (“femme vierge”, come descrive il libretto) si chiama Giulia ed è un soprano. Soprattutto, quella vestale, in quella prima del giorno di Sant’Ambrogio, è Maria Callas. Più precisamente, Maria Meneghini Callas, nome completo, col cognome del marito. La guida, ovvero il regista, è Luchino Visconti. Per Luchino – che pure è dentro alla musica fino al collo, per cultura ed educazione – è la prima volta con un’opera lirica, per Maria è la prima volta, non alla Scala, ma con Luchino.

Li si chiama qui Maria e Luchino non tanto per “nobismo”, ma perché così , a Milano, in quegli anni magnificamente connotati da quelle stagioni scaligere, bastava nominarli. C’era l’affetto, a volte la conoscenza diretta, e sempre l’ammirazione, ma c’era qualcosa di più: dire “Luchino”, e “Maria”significava parlare in un colpo solo delle loro arti, dei loro traguardi, e del loro lavoro in duo perfetto. Dentro una “milanesità” socialmente alta, ma che arrivava a tutti: l’opera, in genere, le opere “alla Scala”, e la Scala con Maria, erano patrimonio cittadino a furore di popolo. E Luchino alla Scala era un valore aggiunto e rivoluzionario: non solo perché era “un Visconti” di sinistra, ma soprattutto perché faceva muovere cantanti e masse corali secondo il massimo possibile di realtà e verità. Le loro.

Tornando, col presente storico, a Giulia, cioè a quella “vestale”, che cosa insegna Luchino a Maria? O meglio, che cosa è capace di estrarre dall’immensa personalità drammatica di Maria? E come riesce a perfezionarne le sue qualità innate sulla scena? Molto in sintesi, lavorando su un principio quasi ovvio, e che Maria è in grado di assorbire con naturalezza. Questo: siccome il teatro è, in sé, finzione, raddoppiarla sul palcoscenico toglie verità sia ai personaggi che agli interpreti.

Anche per questo Maria diventa straordinariamente vera, in tutti i suoi ruoli: certo, la voce, quel registro scuro, quel massimo di carattere e di controllo, è il centro, insuperato, della sua arte e della sua altrettanto massima seduzione. Ma Maria, con Luchino, dopo quella Vestale, diventa anche corpo, storia e vita reali, emozioni espresse. La tradizione scenica del melodramma, la sua sostanziale staticità, è rivoltata. Hector Bianciotti – giovane e non ancora celebre – vedrà e ascolterà Maria come Violetta, nella Traviata storica del 1955, diretta da Giulini, sempre alla Scala, e sempre con un Visconti trionfale (per intelligenza e capacità di rinnovamento) alla regia. Scriverà: “Se Maria Callas appare come un genio, è anche perché obbedisce ciecamente alle tenebre e alle illuminazioni nervose, al teatro dell’amore e del dolore, e a tutta questa misteriosa realtà originaria che riguarda ciascuno di noi, e che le leggi non riescono a svelare. E’ stata una voce e il suo corpo”.

Mica male parlare di “illuminazioni nervose” (altro che “diva”). In conclusione: per tutte queste ragioni, si puo’capire perché si è qui brevemente ricordata una prima della Scala di 60 anni fa, una povera vestale dentro la sua storia, e una povera cocotte parigina, consacrata dalla letteratura, e dall’opera. La prima, in qualche modo prologo dell’altra. E tutte e due capaci di cantare se stesse, come sono, con una voce unica. In ogni senso.

Foto: Maria Callas con amici al Biffi Scala (courtesy Andrea Jacchia)

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