Capire il Corano è il libro del giornalista Farid Adly che ci porta a scoprire il libro di cui molto si parla e di cui ben poco si conosce. Storia, interpretazioni e precetti spiegati con linguaggio chiaro per costruire un dialogo che oggi appare denso di difficoltà e pregiudizi
Con Capire il Corano Farid Adly (giornalista libico che vive in Italia, direttore di Anbamed, notizie dal Mediterraneo, collaboratore di Radio Popolare, il Corriere della Sera, il manifesto, autore per Il saggiatore de La rivoluzione libica) non si rivolge agli specialisti, ma a chi, in tempi complessi, vuole conoscere meglio una realtà che incontra nella vita quotidiana, a causa della presenza di vicini di casa, colleghi e amici provenienti dal mondo arabo e islamico, e vuole anche capire vicende gravi che sconvolgono la vita di tutti noi. Con sguardo aperto e mente senza preconcetti e partigianeria, l’autore presenta il Corano inquadrandolo nel contesto storico e sociale di quando è nato, 14 secoli fa, perché “solo nella comprensione delle ragioni degli altri si riescono a trovare le soluzioni per uscire da un confronto che spesso ha presentato e presenta le caratteristiche della paura e della contrapposizione”. Il libro, ricco di spunti e curiosità, offre un radicale cambio di prospettiva nella discussione sull’Islam ed è uno strumento utile per contrastare il timore del diverso perché “l’identità comune si costruisce conoscendosi a vicenda”.
Il Corano è considerato sacro da un miliardo e seicento milioni di musulmani che, sparsi nei cinque continenti, con tradizioni, lingue e abitudini diverse, sono uniti solo dalla lettura quotidiana delle preghiere in lingua araba. L’autore ci dice che “ogni credente musulmano è intimamente convinto che i versetti del Corano sono la parola di Dio, trasmessa al Profeta Muhammad per il tramite dell’arcangelo Gabriele”. Perché dei tre arcangeli proprio lui? Gabriele significa “Potenza di El”, “El è forte“, è lui che annuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista e a Maria la nascita di Gesù, è uno dei messaggeri di Dio, è l’angelo del fuoco e il Talmud lo descrive come l’unico angelo che parla siriaco e caldeo. Ecco perché è il più indicato per rivolgersi al Profeta per la nascita di una nuova religione. Il Corano è costituito da 114 capitoli o sure, composte a loro volta da versetti e la tradizione vuole che Gabriele ci abbia messo ventitré anni a trasmetterle a Muhammad, dal 610 d.C. al 632, anno in cui il Profeta muore.
Addentrandomi nella lettura dell’agile libro di Adly, che ci porta per mano tra storia, aneddoti e interpretazioni diverse del testo sacro, ho sentito la fatica che il Corano ha sopportato per arrivare fino a noi, traversie interminabili per tempi, interpretazioni, trascrizioni, errori corretti via via, copie realizzate in diversi momenti e modi, sure escluse da alcuni studiosi e reintrodotte da altri che hanno sconfessato i primi.
La trascrizione è avvenuta dopo la morte del Profeta, i versetti venivano memorizzati dai primi musulmani ai quali Muhammad le comunicava man mano che le riceveva dall’arcangelo, poi venivano scritte su pellame, scapole di cammello, pietre levigate, tavole di legno e foglie di palma. Il Profeta, secondo la tradizione musulmana, era analfabeta, a un certo punto ebbe un incontro quasi terrificante con un angelo che lo afferrò e lo strinse talmente forte che… No, questo è da scoprire nel libro di Adly, anche perché è da questo episodio che nasce il nome Corano.
Il libro sacro contiene un’infinità di norme e prescrizioni: minacce per gli empi, condanna per gli usurai, descrizione dei tormenti per chi finisce all’inferno e delle delizie per chi andrà in paradiso, indicazioni precise riguardo alle preghiere quotidiane, all’elemosina e alle proibizioni alimentari, accuse verso i miscredenti, esortazioni al controllo delle passioni, all’amore per i propri simili; tra le regole del vivere c’è la capacità di difendere i propri diritti con decisione e moderazione, la misericordia per i colpevoli è raccomandata. E non finisce qui: ci sono precetti legali a matrimoni, eredità, dispute, norme penali e indicazioni sul comportamento di un buon musulmano in società.
La prima edizione a stampa in lingua araba uscì nel 1537-38 grazie a Paganino Paganini e al figlio Alessandro, di Venezia, che costruirono i caratteri mobili arabi e stamparono il testo per la commercializzazione presso il califfato ottomano. Pare che arrivati a Costantinopoli l’operazione sia fallita per gli innumerevoli errori che rendevano il testo, per i musulmani, quasi un falso.
La prima traduzione e pubblicazione in una lingua europea è in italiano, esce nel 1547 grazie al canonico Giovanni Battista Castrodardo di Belluno.
Leggendo Adly scopriamo che l’attestazione più antica del detto popolare “se la montagna non va da Maometto, lui va alla montagna” risale al 1625 ed è nei saggi di Francis Bacon che dice “una persona sfrontata farà molte volte quello che fa il miracolo di Maometto (…) convinse il popolo che avrebbe saputo far venire presso di sé una montagna, per salirci sopra a pregare. La gente si radunò, lui ordinò alla montagna di presentarsi più e più volte, e poiché la montagna restava ferma, per nulla imbarazzato disse ‘se la montagna non è venuta a Maometto, lui andrà alla montagna’”. Però non è chiaro il motivo per cui il protagonista di questa storiella è Muhammad anche perché in nessuna raccolta di aneddoti sulla sua vita se ne trova traccia, “è completamente inventata in ambienti medievali in Europa, il fatto che venga indicato come esempio di sfrontatezza però è in linea con la visione non proprio serena che si aveva di lui nel mondo cristiano di allora”.
Nel Corano c’è anche Gesù: non è figlio di Dio, ma un profeta che ha diritto a un posto privilegiato poiché inviato da Dio e nato prodigiosamente da Maria, vergine e benedetta e, in qualità di inviato di Dio, non è stato crocifisso. Pur confermando il Vangelo e la Torah, il Corano precisa che gli ebrei sono incorsi nell’ira divina e i cristiani hanno sbagliato strada perché credono entrambi in un Dio uno e trino, in alcuni versetti Dio istruisce il suo Profeta per metterlo in condizioni di dialogare con ebrei e cristiani e confutarne le tesi smontandole pezzo per pezzo avvicinandoli così all’unica vera religione, perché l’unica via retta è certamente l’Islam . Poi arriva la condanna senza appello per “chi ammazzerà un uomo innocente dell’altrui sangue e che mai aveva commesso delitti sulla terra, sarà considerato come se avesse ammazzato tutti gli uomini, e chi salverà anche un solo uomo sarà considerato come uno che avrà salvato tutta l’umanità”.
Islam significa pace ma il Corano, dice Adly, “non ha bandito esplicitamente la schiavitù e nei libri dell’esegesi la pratica schiavista era stata considerata lecita dal punto di vista teologico. Di fronte a questa lampante verità i dotti musulmani di oggi si scherniscono sostenendo che quello della schiavitù è un problema connaturato in tutte le civiltà umane e non sarebbe stato facile sradicarlo. Una difesa debole, perché la questione oltre a essere sociale ed economica, è soprattutto culturale, teologica e giuridico-normativa. Non attenua le responsabilità morali dell’Islam neanche l’argomento che la Bibbia non ha condannato specificamente la pratica della schiavitù, ma ha dato soltanto delle istruzioni su come dovrebbero essere trattati gli schiavi”. Poi si è emendato incoraggiando in vari modi i fedeli a compiere il riscatto degli schiavi, lo stesso Muhammad sposò alcune delle schiave avute in dono o come bottino di guerra rendendole libere.
Infine il Corano e le donne. Nonostante si rintraccino nel testo alcuni elementi di uguaglianza (“O esseri umani, vi abbiamo creato maschio e femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda. Per Dio, il più nobile di voi è colui che più lo teme”) non ci sono norme per la vita quotidiana e, anzi, c’è in più punti un ribadire fortemente la sudditanza della donna al potere del maschio. Tra le prove principali che gli ulema portano a conferma dell’inferiorità femminile c’è l’asserzione che non c’è una profeta donna in tutta la storia delle religioni…
Nelle conclusioni l’Autore scrive che “un risveglio culturale del mondo musulmano si ripercuoterebbe positivamente anche sulle condizioni sociali dei popoli di fede islamica, oggi sommersi da analfabetismo e povertà, malgrado le ricchezze enormi a disposizione (…) bisogna salvare le future generazioni di musulmani dal cancro maligno dell’estremismo, dell’odio e della violenza. È un cammino lungo e arduo, ma il primo passo va fatto. Non c’è tempo da perdere”.
Immagine di copertina di Junhan Foong