Nel nuovo film di Mario Martone l’incontro tra una comunità utopica di adoratori del sole, alla ricerca della felicità attraverso la non violenza, il vegetarianismo, l’arte e la danza e la pastorella Lucia (l’ottima Marianna Fontana), analfabeta ma attratta da quel mondo che tutti gli altri abitanti dell’isola fuggono e combattono perché diabolico. Così per lei la vita in famiglia diventerà molto difficile, mentre sulla vecchia Europa soffiano forti i venti della guerra e della rivoluzione, entrambe alle porte
Nell’estate del 1914 i venti di guerra soffiavano già su gran parte dell’Europa, ma nell’incantevole isola di Capri, dov’è ambientato il nuovo film di Mario Martone, il tempo pareva ancora sospeso, fra l’incanto blu del mare e il grigio antico delle pietre: Capri-Revolution racconta un gruppo di giovani cosmopoliti – tedeschi, inglesi, svizzeri e francesi, e nei dialoghi ritroviamo una meravigliosa babele di lingue e di accenti – che ha creato una comunità utopica di adoratori del sole, alla ricerca di una quotidiana eppure straordinaria felicità attraverso la pratica della non violenza, il vegetarianismo, l’arte e la danza. Un luogo di libertà e scoperta, di contatto dionisiaco con la natura e di libera espressione artistica. Una comune hippy ante litteram, dove si condivide tutto, figli compresi, si prende il sole nudi sdraiati sulla roccia e si balla di notte alla luce dei fuochi, in attesa dell’alba e di un mondo nuovo e perfetto.
A guidarli c’è un santone pacifista (Reinout Scholten van Aschat) dallo sguardo illuminato, che predica il rispetto reciproco, l’amore e la pace universale, e percorre lo spazio incantato dell’isola, i suoi sentieri impervi e gli squarci abbaglianti sul mare, col passo baldanzoso dell’utopista assoluto, refrattario a qualunque dubbio e capace di qualsiasi giravolta mentale pur di difendere l’incontaminata bellezza del sogno. Un sogno che agli altri, agli abitanti di Capri, pare invece un incubo infernale. Loro li chiamano i diavoli, infatti. E guardano con sospetto i loro corpi nudi, con orrore la loro promiscuità. Tutti tranne Lucia (Marianna Fontana), una pastorella analfabeta dallo sguardo terso, che si avvicina con curiosità e paura, in fuga da una famiglia umile e arroccata nella difesa ottusa di un piccolo mondo antico e grezzo, dove alle donne pare riservato l’esclusivo compito di servire, in silenzio, padri e fratelli prima, mariti e figli poi. Certo è questo il modello femminile incarnato dalla rassegnata madre di Lucia (interpretata da Donatella Finocchiaro), un destino che la protagonista però rifiuta, inseguendo un percorso di trasformazione che diventa metamorfosi profonda, sotto il segno di una libertà che le altre donne dell’isola (e la stragrande maggioranza delle donne all’epoca) non erano nemmeno in grado di immaginare.
Ma c’è anche un altro polo, un altro sguardo nel film di Martone: quello del medico condotto (Antonio Folletto), di fede socialista e irredentista, che crede nel potere salvifico della scienza, cura i poveri, aiuta gli operai, e sostiene che questa guerra voluta dai capitalisti sarà quella che riuscirà ad affossare definitivamente il loro modello economico e sociale. E infatti decide di partire volontario. Noi che siamo venuti dopo sappiamo bene quanti milioni di inutili morti sia costato il sogno funesto di una guerra che potesse diventare l’alba di una nuova civiltà. Più di un secolo dopo ne abbiamo viste più che a sufficienza di rivoluzioni affogate nel sangue, di utopie trasformate in incubi.
Allora perché parlarne ancora? Perché fare un film come questo? Così teatrale, così intellettuale, filosofico persino? Mario Martone ha dichiarato di aver preso spunto dall’esperienza della comune che il pittore Karl Diefenbach creò a Capri agli inizi del Novecento, omologa della più famosa comunità del Monte Verità, nei pressi di Ascona, in Svizzera. Ma il fatto storico è stato rielaborato con grande libertà, impastando lo spiritualismo di Diefenbach coi concetti elaborati molti decenni dopo da Joseph Beuys, artista multiforme e fondatore del movimento dei Verdi in Germania, negli anni Settanta.
Il risultato è un film che si interroga sul presente, sul rapporto con la natura e sull’idea di progresso sostenibile oggi, ma senza smettere di riflettere sulla storia da cui veniamo, fatta anche (a tratti, soprattutto) di guerre e rivoluzioni, di tragici abbagli ideologici e sanguinose tragedie. Un progetto difficile, ambizioso, rischiosissimo, intessuto com’è di discussioni politiche e artistiche, e ambientato su una sorta di palcoscenico teatrale en plein air, fra elucubrazioni filosofiche e immagini liriche. Un film che però cattura e convince, evitando di sprofondare nell’intellettualismo fine a sé stesso, grazie a una scelta radicale e felice: il punto di vista attraverso cui vediamo tutto è quello di Lucia, ragazza del popolo in grado di restituire carne e sangue alla scoperta dell’utopia. Un personaggio magnificamente interpretato da Marianna Fontana e mirabilmente scritto da Martone, capace di incarnare alla perfezione un percorso radicalmente rivoluzionario.
Per chiudere nel modo migliore la trilogia iniziata dal regista napoletano con Noi credevamo e proseguita da Il giovane favoloso. Sulle tracce della storia con coraggio, senza dimenticare il sogno e la poesia.
Capri-Revolution di Mario Martone, con Marianna Fontana, Reinout Scholten van Aschat, Donatella Finocchiaro, Antonio Folletto, Gianluca Di Gennaro.