Cari docenti di Saint-Denis

In Weekend

In risposta alla lettera di quattro insegnanti francesi a proposito della strage di “Charlie Hebdo”: sono con voi, ma con qualche importante distinguo

Catherine, Isabelle, Valérie, Damien, cari colleghi di Parigi, ho letto con grande attenzione e partecipazione la vostra lettera; l’ho letta ma non condivisa integralmente nei singoli passaggi.

Voi scrivete: «Siamo professori di Seine-Saint-Denis. Intellettuali, scienziati, adulti, libertari…Non abbiamo altro maestro all’infuori del sapere… Quelli di Charlie Hebdo ci facevano ridere…Viviamo in mezzo ai libri…Consideriamo un dato acquisito che La libertà che guida il popolo e Candido fanno parte del patrimonio dell’umanità…».

Questa premessa ha a che fare, secondo me, con la pratica della scuola solo a patto che non venga considerata, appunto, come universalmente acquisita. Il riso provocato da vignette intelligenti e irriverenti non è un dono di natura, appartiene piuttosto al momento della sintesi dopo svariati passaggi, e ragionamenti, e letture e consuetudine sociale. Il tirocinio quotidiano dell’insegnamento ci richiede, nella grande parte dei casi, l’esercizio continuo di misura della realtà, atteggiamenti forti ma anche equilibrati, compressione degli umori, lavoro minuto e di basso profilo; e voi lo sapete sulla vostra pelle .

Non so se questi elementi possono essere considerati lontanissimi riverberi di Voltaire e di Delacroix. Non credo e non lo so. Ciò di cui mi sono faticosamente convinta sulla base dell’esperienza è che ognuno, nella fattispecie lo studente, ha il diritto sacrosanto di non sapere e di cominciare da zero. In qualche caso, purtroppo, questo diritto si dilata fino al deragliamento dalla norma. Può capitare, va messo in conto.

Voi scrivete: «Se i crimini perpetrati da questi assassini sono odiosi, ciò che è terribile è che essi parlano francese, con l’accento dei giovani di periferia. Questi due assassini sono come i nostri studenti… Noi siamo responsabili di questa situazione… Allora noi diciamo la nostra vergogna,vergogna e collera».

Il fatto che gli omicidi non siano i vostri studenti, ma come i vostri studenti e parlino lo stesso francese di periferia, non può costituire motivo per autoassolvervi, ma l’assunzione in toto di ogni responsabilità mi sembra davvero sproporzionata. E altrettanto sproporzionato ritengo che sia il sentimento di vergogna che provate, soprattutto verso voi stessi.

La scuola da sola non va da molte parti, ha bisogno di sponde: famiglia, società, istituzioni, per svolgere quel ruolo di retroguardia strategica che negli assetti militari protegge le spalle degli eserciti e para gli agguati, e che nelle aule allena a ragionare e a riflettere. Nel migliore dei casi.

E comunque c’è bisogno di politica, di quella vera, non di quella delle parole, sono d’accordo con voi, non di quella che priva la scuola di mezzi e di sostegno.

Con qualche distinguo, ma sono con voi.

E per quello che fate a Seine-Saint-Denis, per le condizioni in cui lo fate, tra mille difficoltà e disagi di ogni tipo: chapeau!

Foto: Petit_louis

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