Da Castiglioni a Francesconi e Vacchi: la musica di due secoli. Il 22 febbraio inizia la stagione 2016 di Sentieri Selvaggi. Con che impronta? Lo abbiamo chiesto a Carlo Boccadoro
Carlo Boccadoro, voce seguita, a volte un poco anarchica e insofferente alle etichette, del panorama musicale milanese, è uomo dalle mille attività, dalle mille risorse, si direbbe quasi dalle mille vite: compositore affermato, direttore d’orchestra, pianista, percussionista, critico musicale, organizzatore, scrittore di libri. In occasione della nuova stagione di Sentieri selvaggi, intitolata Primi Piani (dal 22 febbraio come di consueto al Teatro Elfo Puccini), abbiamo intervistato l’infaticabile direttore artistico del gruppo musicale. Ecco come presenta a Cultweek la rassegna 2016.
Il 22 febbraio parte la vostra ventesima rassegna. Come siete arrivati alla scelta di questi Primi Piani?
Ormai abbiamo tracciato un percorso su certi autori che va avanti da quasi vent’ anni; ogni anno, poi, il nostro proposito è far sentire cose nuove, esplorare realtà che in altri festival di musica contemporanea non si sentono. Inoltre abbiamo un rapporto con gli Stati Uniti da sempre e mano a mano che le generazioni avanzano cerchiamo di documentare ciò che avviene: quest’anno ad esempio ci sono i compositori americani dai 35 ai 40 anni. Per finire, già da diverso tempo abbiamo deciso di dedicare dei ritratti monografici a dei grandi maestri sia classici (come Boulez ad esempio) sia di persone in piena attività, come Vacchi e Francesconi che hanno ancora parecchia musica da scrivere.
Fabio Vacchi e Luca Francesconi, insieme a Niccolò Castiglioni, vanno a costituire la serie di Ritratti italiani; ci può dire qualcosa a riguardo?
A Castiglioni era doveroso dedicare un ritratto nel ventennale dalla morte ma lo facciamo con brani strani: ultimamente di suo si eseguono spesso gli stessi pezzi, cosicché sembra che abbia scritto in totale tre brani, mentre invece ha dato vita a testi molto strani, bizzarri e divertenti come ad esempio quello per contrabbasso che proponiamo; insomma, un Castiglioni un po’ fuori rotta rispetto alle celebrazioni ufficiali.
Mentre gli altri due?
Entrambi sono autori con cui abbiamo già fatto una marea di cose; il rapporto con Francesconi è più recente ma mi hanno molto entusiasmato le sue ultime produzioni. Addirittura Francesconi ha scritto apposta un brano per noi, cosa che io trovo fantastica! Lui è uno dei compositori più importanti e più seguiti al mondo e quindi per noi è un grande onore avere un suo scritto. Con Vacchi c’è da tempo un rapporto di stima e affetto reciproci: sarà la sua musica a concludere la stagione di quest’anno.
Mi incuriosisce molto American Close-up, la serata dedicata ai compositori americani…
Abbiamo sempre molto seguito e proposto autori americani, incominciando dai primi minimalisti fino a quelli quelli che troverete in cartellone quest’anno: compositori che in Europa sono conosciuti pochissimo e in Italia totalmente sconosciuti. È interessante perché fanno musica molto strana, particolare, in cui si sentono tutte le diverse influenze della generazione precedente, che però viene superata: la loro musica ci porta a scoprire un’ulteriore dimensione, nuova, diversa.
Rispetto agli italiani si discosta molto la direzione che sta prendendo la musica americana?
In realtà in nessuna parte del mondo c’è più una direzione, ogni compositore ha la propria, non c’è più una linea guida; però all’interno di questa diversità si percepisce che i compositori americani hanno seguito e conoscono il minimalismo, allo stesso tempo la musica rock o pop – ad esempio Missy Mazzoli ha anche un gruppo pop per cui scrive canzoni, fa dischi e va in tournée – o addirittura alcuni di loro sono veri e propri musicisti rock; anche nel concerto di Lang, per rimanere in tema, eseguiremo brani da lui composti per una band indie-rock (il ciclo di canzoni Death Speaks).
Questa concezione di far musica in Italia non esiste. Non è detto che debba piacere per forza; noi cerchiamo di proporre ciò che ci sembra interessante e che possa stimolare e questo lo è. Pensi che in passato abbiamo anche eseguito trascrizioni di musica techno fatta da olandesi: di sicuro non è piaciuta a tutti, però è una cosa curiosa e divertente da fare.
Qual è la serata che attende con più trepidazione?
La più difficile in assoluto è quella inaugurale, è una serata di una difficoltà esecutiva folle; anche il brano che Francesconi ha scritto per noi è difficilissimo. Sono tutti pezzi ardui da suonare, sono pezzi che mettono gli esecutori allo stremo e, per finire, l’ultimo brano è quello più difficile, dunque una serata in salita. Fremo, inoltre, perché questa serata sarà registrata dal vivo per la realizzazione di un cd che uscirà nel 2018 per l’etichetta A simple lunch di Bologna, etichetta jazz, per cui Sentieri selvaggi ha già fatto un’incisione dal vivo.
Per quanto mi riguarda, invece, rispetto agli altri festival questo è meno faticoso perché dirigo molto meno, un pezzo solo. Faccio da coordinatore ma non sono sul podio sempre: è tutto più semplice.
Sei esplosivo: organizzi, dirigi, pianifichi, scrivi… Quanto tutto ciò influenza la tua musica?
Mah sono influenzato da tutto quello che ascolto e quindi senz’altro anche da quello che facciamo con Sentieri. Nei miei pezzi c’è di tutto. Ho scritto in vent’anni musica diversissima, a volte non sembro nemmeno lo stesso compositore! Ho un modo di scrivere che è un modo inclusivo, non esplosivo; sicuramente non tutto quello che dirigo va a finire nei miei pezzi però ci sono tanti elementi che assimilo, rielaboro e magari ripropongo. Ci sono poi autori che prima non mi interessavano ed ora sì, quindi anche le “influenze” cambiano. Ma non sono la persona adatta a parlare della mia musica, dei miei pezzi.
Va bene, allora parliamo del suo ultimo libro, La grande battaglia musicale?
Il libro è nato perché volevo scrivere delle piccole storie, non aveva inizialmente intenti pedagogici, non è nato per avvicinare i bambini alla musica. Poi lavorando con la casa editrice Marcos y Marcos è nata l’idea di inserire musiche, anche da suonare, e dare un taglio più pedagogico, ma tutto questo è arrivato dopo, è stata una loro proposta. Io l’ho scritto per divertirmi. Piace molto ai bambini, è questo quello che mi interessa.
E pensa che la realtà di Sentieri selvaggi possa arrivare anche ai bambini?
Sentieri selvaggi presenta un repertorio che non è molto adatto ai bambini secondo me, preferisco muovermi in altri modi per raggiungerli e avvicinarli alla musica, adesso è già tanto se si riesce a far ascoltare loro Bach o Mozart! La musica contemporanea forse è troppo, per quanto in effetti i bambini non abbiano pregiudizi e possano ascoltare di tutto. Ci vogliono però anche delle risorse che ora non abbiamo. Per adesso è un miracolo se siamo qui ogni anno!
Ultimamente Milano è una città molto viva e attiva; come le sembra il panorama musicale milanese?
Direi che c’è tantissima offerta, non ci si può lamentare! Per quanto riguarda la musica contemporanea abbiamo fatto una sorta di coordinamento con le altre istituzioni in modo da garantire una proposta per tutto l’anno: ci siamo noi, intanto è iniziato anche Divertimento Ensemble, quando finisce c’è Milano Musica, poi Mito, poi di nuovo noi: se uno vuole può ascoltare contemporanea 12 mesi l’anno! Abbiamo fatto in modo di non pestarci i piedi a vicenda perché non avrebbe senso: seppur sia capitato in passato che la stessa serata fosse proposta con successo da noi e da altre realtà – come La fabbrica illuminata di Nono, fatta da noi e da Pestalozza, che ha registrato il tutto esaurito da entrambe le parti – non c’è un bacino d’utenza tale da consentire troppe sovrapposizioni di serate; inoltre trovo molto intelligente questa suddivisione poiché così si riesce a garantire un’offerta costante e molto varia.