Carlo Orsi, allievo di Ugo Mulas, espone vecchi fotogrammi della Milano anni Cinquanta. Il racconto di quegli anni e qualche anticipazione sul futuro.
La meravigliosa e raccolta galleria CA’di FRA’ in via Farini a Milano, ci offre l’opportunità di osservare attentamente la rivisitazione di un lavoro realizzato circa cinquant’anni fa dal fotografo Carlo Orsi (1941, Milano). La stanza che contiene la piccola mostra, si trasforma nella caotica stazione di Milano dei primi anni sessanta. E le grandi stampe fotografiche sembrano diventare i finestroni dei treni presi d’assalto dalle migliaia di persone che tentavano di ritornare al Sud per le vacanze estive.
Perché ha scelto di rivisitare dei suoi lavori a distanza di cinquant’anni, scegliendone delle porzioni, dei particolari, di cui ha esasperato la dimensione?
Volevo cogliere degli insiemi di particolari, per cui avevo bisogno di fotogrammi con tanta gente, tante cose. Gli ingrandimenti hanno lo scopo di leggere meglio le fotografie, rendendole più tragiche o anche più ironiche – per l’amor di Dio – . L’errore che si fa davanti ad una fotografia è che la si guarda ma non la si legge. In realtà, una fotografia andrebbe letta. Volevo cogliere nei dettagli drammaticità del momento: confusione, persone che entrano dai finestrini, valige, scarpe e quant’altro.
C’era anche un intento sociale?
Oltre all’attualità del tema dell’immigrazione, c’è il fatto che adesso noi ridiamo della gente che si infila sul treno dal finestrino, ma allora era così. Adesso ci sono i Frecciarossa, Italo: non vedi più nessuno in piedi sul treno. Solo a volte, sui Regionali, che funzionano malissimo…
Le foto sono scattate a Milano, dove lei ha sempre lavorato. Cosa pensa, oggi, della città?
Io nel 1965 ho perfino realizzato un libro su Milano, con la prefazione di Dino Buzzati, edito da Skirà. Sono milanese: è la mia città. Ma con lei ho sempre un rapporto conflittuale. Non è soltanto che non è più la città di una volta. E non è nemmeno un semplice rapporto amore/odio: spesso provo amore per questa città. Odio non ne provo mai. Talvolta, però, la disistimo.
Sempre a Milano, in questo periodo, da Lia Rumma si può vedere una mostra su Ugo Mulas. Lui è stato il suo maestro, vero?
Io sono stato il primo assistente di Ugo. Suo fratello dice che sono stato l’unico. Unico non lo so, so solo che sono stato il primo.
Come vi siete conosciuti?
Io sono nato in via Solferino, a ottanta metri dal bar Jamaica. E quando portavo ancora i calzoni corti, mentre i miei amici andavano a giocare a biliardo, io preferivo andare al Jamaica. Un giorno mi si avvicina Ugo e mi dice: “Ehi, ti vedo qua da un po’ di giorni. Sono un fotografo. Ti andrebbe di aiutarmi nel mio lavoro?”. Per me è stato un sogno, perché ho sempre avuto la passione per la fotografia.
Cosa faceva per lui, e cosa le ha insegnato?
Quando Ugo viaggiava per lavoro aveva bisogno di qualcuno che gli mandasse avanti la camera oscura. É stato un grande maestro. Ho imparato che il 50% della fotografia si fa in camera oscura e le foto esposte alla galleria Ca’di Fra’ ne sono la prova. É questa la vera magia della fotografia, non come oggi che con il digitale della magia proprio non se ne parla più…
Deduco che il suo rapporto con le macchine fotografiche digitali non sia dei migliori.
Non ne ho mai toccata una, non ne voglio sapere niente. Io sono rimasto al mio negativo, mi piace mettere dentro il mio rullino con calma. É un altro mondo, non so nemmeno se quella di oggi si possa chiamare ancora fotografia.
Sono tutti “fotografi” ormai: si scatta senza sosta… Ad esempio, questa gente che fa le foto ai suoi figli in continuazione: mi sembrano proprio dei dementi. Primo, fai delle foto di merda. Secondo, non si può scattare in continuazione: diventa una una schifezza, perché non ci si concentra più.
Lei ha fatto anche fotografia di moda in analogico. Come si è avvicinato a quel mondo, e perché?
Il mio sogno era avere una Vespa. Di soldi non ce n’era l’ombra: Ugo era tanto se ogni due, tre o quattro mesi mi dava 50mila… Improvvisamente fui contattato dalla Rinascente per un servizio di moda, “nello stile dei miei reportage”. E così altri mi chiamarono. Prendevo per un servizio quello che prima guadagnavo in un anno, ed ero in mezzo a delle donne bellissime. Un sogno, un miracolo!
Era un mondo che amava, quindi?
Ci ho lavorato 25 anni, ma non ho mai partecipato al giro della moda: la sfilata di qui, il cocktail di là… Io proprio non lo amavo quel mondo. E infatti poi mi sono stancato: un po’ di soldini li avevo messi via e mi sono rimesso a pensare di più alla fotografia.
E adesso, a cosa sta lavorando?
L’ anno scorso Skirà, la casa editrice che mi aveva stampato il libro 50 anni fa, mi ha chiesto di rifare il libro su Milano, 50 anni dopo, per come la vedo io. Praticamente è un anno che ci sto lavorando, e mi pare che stia venendo fuori un libro bellissimo. Sarebbe dovuto uscire per il 2015, in occasione dell’EXPO, ma uscirà settembre, e ci sarà una mostra nello spazio progettato da Michele De Lucchi in piazza Gae Aulenti.
Carlo Orsi, Galleria Ca’ di Fra’, fino al 30 gennaio 2015.
Foto: Carlo Orsi, Treno del Sud (dettaglio).