“Liberare” Ifigenia: ci provano Carmelo Rifici e Angela Demattè con un teatro brechtiano, didascalico, che affronta la Storia e il Mito nelle sue complessità, tra Nietzsche, Bibbia, Girard e personaggi in cerca di Euripide
Ogni tanto il teatro italiano svela microcorrenti impercettibili che a poco a poco si fanno tendenze, orientamenti, persino riscoperte. Ne è un esempio il nuovo importante spettacolo di Carmelo Rifici: Ifigenia, liberata, in scena al Piccolo Teatro Strehler fino al 7 maggio, già presentato al LAC di Lugano in marzo.
Al centro la tragedia greca in generale e la saga degli Atridi in particolare, in una lettura antropologica e filosofica che mette René Girard al comando dei tragediografi attici. Angela Demattè ha riscritto l’Ifigenia in Aulide di Euripide con le due lenti deformanti del filosofo francese scomparso un anno e mezzo fa: violenza da una parte e sacro dall’altra, denominatori comuni dei nostri primi passi nel mondo come animali, o meglio bestie sociali.
Dunque così ha inizio il male. Ma così ha inizio anche il bene, insomma così ha inizio un po’ ogni cosa: con un sacrificio. Almeno secondo Girard, dopo una vita passata a interrogarsi sulle origini della violenza, sulle ragioni di quegli sfoghi rituali che nella storia si ripetono contro un capro espiatorio il quale, morendo, riporta l’ordine sociale dove era stato scardinato. Qualsiasi crisi pestilenziale o società allo sbando ha bisogno di una vittima sacrificale, di un’Ifigenia pronta a morire per la nascita o rinascita di una nazione.
Teoria che nello spettacolo viene spiegata accuratamente in un esperimento di teatro nel teatro, con dubbi e perplessità di regista, drammaturga e attori, tutti insieme in scena con il compito di spiegare, prima a se stessi che al pubblico, ogni snodo imprevedibile. Una tragedia in prova dunque: personaggi in cerca di Euripide, amplificati scena dopo scena da proiezioni che sollecitano, sottolineano, soccorrono un pubblico invischiato nella complessità di testi che ci hanno plasmato per secoli, dalla Bibbia a Nietzsche. Ma è una complessità che ci appartiene, che entra in risonanza con le nostre corde ancestrali, grazie a questo teatro tutto spiegato.
Ed è qui che Rifici si inserisce con il suo stile in un discorso sempre più presente nel teatro italiano: dalle lezioni di storia dell’arte degli Anagoor – vedi Giorgione e Artemisia Gentileschi – all’epica documentaristica sul grande gioco di Afghanistan all’Elfo, per non risalire alle tappe più illustrative del teatro di Ronconi (dalla fisica di Infinities alla finanza della Lehman Trilogy). Un teatro didascalico nel senso migliore, brechtiano del termine, che sollecita lo spettatore e lo risveglia dai comodi intrecci, obbligandolo non dico a prendere appunti, ma almeno a fare uno sforzo per arricchirsi senza restare indifferente.
Sul palco gli alter ego di Rifici e Demattè: un regista determinato e gentile – Tindaro Granata – e una drammaturga capace di incorporare con emozione ogni intellettualismo – Mariangela Granelli – muovo i bravi attori immersi nelle incalzanti, evocative musiche di Zeno Gabaglio. Imponente la scena tipo Shining disegnata da Margherita Palli, quasi un tassello mancante della sala del Teatro Strehler, con la porta sul fondo che minaccia fiumi di sangue.
Certo la bonaccia dell’Aulide, insieme alla presenza di tutti gli attori sul palco, non può non ricordare l’avvio di Santa Estasi di Antonio Latella – visto al Teatro delle Passioni di Modena, al Piccolo Teatro Studio a maggio 2018. Ma la mano di Rifici ci porta altrove, verso un’intersezione di teoria e pratica che sul palco rende finalmente viva e incarnata la parola scritta. Così mentre Demattè nasconde, con le labirintiche e intense confessioni del suo testo, Rifici libera e disfa la tela, in un gioco interminabile che sa ridare a citazioni e riferimenti nuovi sensi e significati, strappandoli alla freddezza accademica, in un percorso dall’erudizione alla conoscenza.
Per il video si ringrazia LuganoInScena
Ifigenia liberata, fino al 7 maggio al Piccolo Teatro