Si inaugura sabato 9 marzo 2024 alle 16:30 al Museo Civico Floriano Bodini di Gemonio (VA), la retrospettiva dedicata al primo periodo dell’opera di Carola Mazot (Valdagno 1929 – Milano 2016) dal titolo “Oltre lo sguardo – gli anni Sessanta”, a cura di Maria Clara Bosello e Atelier Mazot. Pittrice nata alla fine degli anni Venti in una famiglia di artisti veneti, fu allieva all’Accademia di Brera di Marino Marini e Giacomo Manzù. Una formazione accademica che si fonde con la vivacità del gruppo dell’ormai mitologico Bar Jamaica in cui si incontravano artisti, musicisti e personaggi della cultura, fautori dei grandi fermenti artistici dell’epoca. Un’artista e una donna da riscoprire, come ci racconta la curatrice della mostra.
Figura femminile dirompente, sempre fuori da schemi precostituiti, operando in ambienti quasi esclusivamente maschili, Carola Mazot ha sempre seguito i suoi impulsi stilistici personali dedicando la sua intera esistenza all’arte con caparbietà e determinazione, raggiungendo numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Particolarmente audace la sua scelta di mantenere sempre la tecnica ad olio su una preparazione talvolta bianca, altre colorata, come da buona tradizione veneta, che ha il compito di far risaltare una stesura del colore rapida e sapiente. In anni in cui la pittura veniva messa in secondo piano dalle post-avanguardie sulla scia del Concettuale e del Pop, Carola con coraggio rimane legata al mezzo tradizionale.
Le opere in mostra a Gemonio offrono un assaggio degli anni d’esordio, i cui soggetti sono l’essere umano e il suo volto. Una serie di figure singole o in coppia, che ne rivelano l’anima misteriosa e potente indagate attraverso tratti essenziali che costruiscono il disegno con un segno sicuro e rapido, pochissime linee che con grande sapienza sanno cogliere sia le espressioni assorte, sia l’interiorità, un guizzo di personalità. Una pittura scultorea – in Accademia aveva imparato a disegnare col colore, a dare la forma, la massa a partire dal tocco del pennello – che affonda nella materia a colpi di sgorbia per fissarsi nella memoria di chi le guarda. Un gesto espressionista quasi capace di accennare a un’intimità silenziosa e potentissima, di alludere ad un “oltre” la tela che riempie la figura di vertigine. La sintesi con cui Carola delinea e separa i suoi volti da qualsivoglia contesto, quasi a spogliarli di spazio e tempo, li rende universali. Nasi diritti, zigomi marcati, bocche sottili, occhi socchiusi, consegnano espressività, assommano la personalità tutta. L’umano, nella sua dimensione forse più essenziale ed esistenziale, il suo volto, qui quasi sempre preso di tre quarti, con pose che escludono spesso parte del viso e che celano quindi un quid inafferrabile.
I volti di fanciulla nella loro sospensione rimandano all’esterno dell’opera stessa, evocano il suono di un violino, lasciano immaginare il contenuto di una lettera. Volti che testimoniano fortemente come, fin dagli inizi, l’essere umano per Carola rimane sempre la realtà più misteriosa e imperscrutabile, raccontata con discrezione da poche pennellate precise, che hanno il compito di suggerire più che di raccontare. Nelle numerose tele di coppia il dialogo muto tra uomo e donna rimane intriso di bramosia maschile e impassibilità femminile. Una distanza di intenti, acuita dalla divergenza degli sguardi, quello di lui su di lei e quello di lei lontano, altrove. A volte però quegli occhi socchiusi si incontrano e noi restiamo contemporaneamente esclusi dalla loro complicità e coinvolti fino alle viscere in quel sospeso momento di attesa: il mistero tra due misteri. Se, come diceva Costantin Brancusi, “la semplicità in arte è la sostanza di una complessità risolta”, dei volti di Carola Mazot si potrebbe dire che sono la sostanza di una complessità irrisolta.
Quelle di Carola sono figure imprigionate nel loro sentimento e mistero. Sagome arcaiche di grande suggestione simbolica che rivelano la classicità insita nel linguaggio dell’artista, sempre in dialogo con l’antico, in questo primo periodo particolarmente evidente. Una riuscita rielaborazione di modelli rinascimentali (da Masaccio a Piero della Francesca) che arrivano dal classicismo mediato dal pathos di Giovanni Pisano. Volti con una dignità ed eredità greca ma venata da una enigmaticità attuale, come moderna classicità novecentista. L’artista spesso affermava: “La mia passione è osservare i volti delle persone e indagare sui loro sentimenti ed emozioni”. Così faceva nella vita e nel lavoro, con le persone conosciute e con chi non conosceva. Un universo ordinario, dunque, che rivela però un che di straordinario.
Silvano Petrosino, nel suo saggio su “Lo stupore – La gioia dello sguardo” scrive una grande verità: “Lo stupore è un’esperienza eccezionale, ma non dell’eccezionale”, un’esperienza che tutti possiamo fare ma che solo gli artisti sanno cogliere nel senso più profondo. Questo è uno dei compiti della pittura: essere strumento per conoscere e percepire, ammirare e sentire un aspetto della realtà che all’uomo comune sembra un nulla, fugace e labile, ma che all’artista si svela in tutta la sua poetica coerenza e, in fondo, costituisce la vera stoffa dell’esistenza. “C’è un mistero che arriva dipingendo” diceva Carola. “Da dove viene non so.”
In copertina: Carola Mazot, Donna che guarda (particolare), 1965, olio su tela cm 50×60, courtesy Atelier Mazot