Si inizia con Henri Cartier-Bresson e si prosegue con altri 35 autori. Ed è così che, di fotografia in fotografia, si succedono gli atti di…
Si inizia con Henri Cartier-Bresson e si prosegue con altri 35 autori. Ed è così che, di fotografia in fotografia, si succedono gli atti di un lungo dialogo con un territorio, il nostro territorio. Scorrono ottant’anni d’Italia. In sette aree tematiche viene sviluppata l’immagine del nostro paese grazie agli scatti di macchine fotografiche che si trovano a raccontare per la prima volta uno spazio nuovo, diverso, singolare. Robert Capa, Cuchi White, Irene Kung, Sebastião Salgado, Steve McCurry e tanti altri grandi fotografi internazionali propongono la lettura di un’Italia vista dagli occhi di chi all’Italia non si è ancora abituato. Obbiettivi venuti da altrove si gettano alla ricerca del non detto di questo nostro paese.
Lo sguardo che percorre il Bel paese da nord a sud ne esce pesante e denso di immagini. Ma solo il grande fotografo riesce a trovare lo scatto che scioglie il groviglio in un’idea. Sebastião Salgado arriva in Sicilia e scopre il lavoro nella sua dimensione di lotta continua con la natura. David Seymour lascia l’Italia con uno sguardo nuovo e potente sul mondo della fede. Irene Kung trova nei monumenti di Milano il fascino onirico dell’architettura. Michael Ackerman attraversa Napoli e “inciampa” in incontri che lo obbligano a immortalare il dolore. Ogni fotografia esposta a Palazzo della Ragione cerca di proporre un momento di luce e rivelazione sull’Italia.
Estremamente interessante la scelta di cominciare con un autoritratto di Henri Cartier-Bresson del 1933. Il fotografo francese si vede e si ritrae riscoprendosi coinvolto in uno spazio che lo accoglie. E come spiega in un’intervista del 1973, rilasciata a Sheila Turner Seed, “un piacere sensuale e intellettuale” lo prende quando riconosce uno spazio in cui ogni cosa è al posto giusto. In Italia un ordine appare sotto i suoi occhi. E la sua fotografia non è altro che un dire di sì a questo ordine. Questo processo di affermazione può essere per certi aspetti eretto a fil rouge di tutta la mostra. Ogni fotografo, a modo suo, ha cercato di affermare un attributo dell’Italia.
Contestabile la scelta di compromettere il ritmo dell’esposizione con autori come Alexey Titarenko e Abelardo Morell in cui il soggetto reale è la sperimentazione tecnica di uno stile e l’oggetto fotografato rimane solo un pretesto. Fotografi di indubbio valore, ma che nel meccanismo generale stridono. Meno convincente risulta invece la seconda parte della mostra: il percorso diventa sempre più confuso, gli aspetti da raccontare si moltiplicano, i temi aumentano in modo esponenziale, ma le briglie logiche dell’esposizione si fanno sempre più labili. E’ come se la mostra facesse sempre più fatica ad imporre un senso interpretativo forte che faccia da guida ai contenuti che propone.
In ogni caso, l’esposizione consegna al visitatore un percorso di incredibili vicende visive in cui ogni foto esposta racchiude un pezzo del grande racconto della storia umana e culturale dell’Italia. Qualcosa di inafferrabile agli occhi, ma che è in grado di passare attraverso il rullino e di incidersi sulla pellicola, si propone dinnanzi al visitatore come degno di essere detto dell’Italia.
Immagine di copertina: Steve McCurry, Gondole in un canale. Venezia, marzo 2011. © Steve McCurry .