Ebbene sì: un’altra mostra su Impressionisti & Avanguardie a Palazzo Reale. Questa volta però il nucleo di opere provenienti da Philadelphia è usato per raccontare una storia interessante e non scontata: quella dei primi collezionisti americani che, molto prima che sul vecchio continente, cominciano ad accaparrarsi i dipinti dei pittori più moderni sulla piazza. E finiscono per trasformare il Museo di Philadelphia in uno dei musei più belli del mondo.
All’annuncio dell’ennesima mostra sugli Impressionisti viene da interrogarsi se ci sia ancora qualcosa da scoprire: li abbiamo visti dappertutto e in tutte le salse. Eppure la gente ci va e si sottopone a lunghe file.
La risposta non può esaurirsi nel battage pubblicitario, nel desiderio di partecipare a un evento, perché la formula è stata ripetuta mille volte. Una spiegazione potrebbe essere nel fatto che gli Impressionisti sono facili, piacevoli, che ne capiamo il linguaggio, o meglio che non ci poniamo neanche il problema di capirli: ce li godiamo e basta.
Nessuna traccia, nessuna memoria del fatto che la loro affermazione a metà ottocento era stata difficilissima.
Rifiutati dai Salon Ufficiali, espongono per la prima volta nella Galleria del fotografo Felix Nadar nel 1874, suscitando scandalo. I critici inorriditi, indignati dall’assenza di contorni, di chiaro-scuro, di prospettiva, definiscono la loro arte impressionista, irridendo il titolo di un quadro del pittore Claude Monet: Impression, Soleil levant.
Gli artisti prendono questa definizione dispregiativa come loro bandiera. E questo dà la misura della loro forza rivoluzionaria e della loro consapevolezza.
Ma torniamo alla mostra di Palazzo Reale a Milano . Il titolo intero recita: Una storia di grande collezionismo americano Impressionismo e Avanguardie. Capolavori del Philadelphia Museum of Art.
Per una volta la mostra corrisponde all’annuncio, possiamo cioè avere un’idea di come mai i collezionisti americani si accorgano prima degli europei degli impressionisti e del ruolo del mecenatismo nella formazione dei musei; un discorso e un percorso nuovo, diverso dal solito e interessante anche per un pubblico più esigente.
Figura centrale, quasi il deus ex machina, della nascita del collezionismo americano, è Mary Cassatt, pittrice americana che vive a Parigi dal 1871, frequenta gli impressionisti e partecipa alle loro esposizioni.
Mary è sorella di Alexander Cassatt, presidente della Pensylvania Railroad, una delle società più grandi del mondo, cui consiglia di comprare opere di Édouard Manet, Claude Monet, Edgar Degas, Camille Pissarro, Vincent Van Gogh. Nel 1882, dopo un lungo soggiorno a Parigi dalla sorella, Alexander riporta le tele a Philadelphia, ma teme il giudizio dei genitori che le consideravano troppo ‘eccentriche’ per il gusto loro e quello dei vicini.
Nelle nuove splendide dimore della Philadelphia della Golden Age, nei saloni pieni di luce, fanno un figurone quei paesaggi palpitanti di colore, quei mari e quei cieli cangianti, quelle città, quei boschi ricoperti dalla neve o resi brillanti dalla pioggia, quelle incantevoli fanciulle in fiore, quelle ballerine che sembrano farfalle pronte a fluttuare.
Per di più hanno diversi formati, un po’ più grandi, un po’ più piccoli, mai esagerati. Insomma sembrano fatti apposta per rendere le loro case ancora più gradevoli, accoglienti e moderne. Presto il possesso di una collezione di pittura rivoluzionaria diventa un segno di mondanità e di gusto progressista per la nuova classe dirigente.
E possiamo capirli, anche a noi piacerebbe averne uno da appendere in soggiorno. Stanno bene dappertutto.
Ed è sempre Mary Cassat a proporre i nuovi artisti ai suoi amici americani e li invita a Parigi a visitare gli atelier dei pittori. Presenta loro il geniale gallerista Paul Durand-Ruel, che riesce a conquistarli alla nuova pittura. Visto il successo, nel 1886 Durand-Ruel manda più di duecento opere impressioniste a New York per una mostra che si sarebbe tenuta all’American Art Association e alla National Accademy of Design e ne vende più di cinquanta, a prezzi astronomici rispetto alle quotazioni francesi.
E’ la prima volta che gli americani possono vedere tante opere della nuova scuola e ne sono conquistati, tanto che l’anno seguente Durand-Ruel apre una sua Galleria a New York.
Sarà sempre Mary Cassat a suggerire ai collezionisti di Philadelphia di lasciare parte delle loro collezioni in donazione al nuovo Museum of Art Philadelphia, fondato nel 1876, uno dei musei pubblici più antichi degli Stati Uniti.
La storia della sua nascita è molto interessante. Nel 1876 Philadelphia ospita la prima Esposizione Internazionale tenutasi negli Stati Uniti, organizzata per celebrare il centenario dell’indipendenza del paese e allestita nella prima capitale della nazione. La fiera, che occupa un’immensa area a Fairmount Park, attira quasi nove milioni di visitatori in sei mesi. Il successo dell’Esposizione spinge le autorità cittadine a fondare il Museo.
Un altro fantastico collezionista-donatore è Samuel Stockton White III, rampollo di una dinastia che produceva forniture dentistiche. Da giovane White era un famoso culturista e durante un suo soggiorno a Parigi nel 1901 frequenta locali e artisti dell’avanguardia e fa addirittura da modello ad August Rodin per una scultura che esalta la sua splendida muscolatura e richiama nella posa il Pensatore di vent’anni prima.
Rientrato a Philadelphia, White comincia a collezionare ad acquistare opere degli impressionisti e della Scuola di Parigi, che alla sua morte sarebbero passate al Museum of Art grazie a un lascito testamentario.
All’inizio del novecento a collaborare al carattere e all’acquisizione delle opere del Museo viene chiamato un illustre storico dell’architettura, Fiske Kimball, che ne diventerà direttore nel 1925 e vi resterà in carica per quasi trent’anni. Kimball si dimostrerà un raffinito conoscitore, un critico acuto e un manager intraprendente, tanto da polverizzare la concorrenza, soprattutto europea.
Esempio significativo è l’acquisizione della collezione Gallantin. Albert Eugen Gallantin è un facoltoso collezionista che da Philadelphia, sua città natale, si era trasferito a New York. Metà dell’anno la passa a Parigi, dove frequenta gli artisti e ne compra le opere. Mette su una magnifica collezione che vorrebbe offrire alla città, ma per una volta la Grande Mela non riconosce l’opportunità, così Gallantin crea la prima collezione pubblica di arte moderna del XX secolo negli Stati Uniti, anticipando di due anni la fondazione del Museum of Modern Art a New York.
Il suo Museo è in Washington Square, sede dell’università di New York, dove Gallantin fa parte del consiglio di amministrazione. Improvvisamente, nel 1942, l’università lo sfratta dai suoi locali. E qui entra in scena Fiske Kimbell, l’intraprendente direttore del Philadelphia Museum of Art, che gli offre la sua disponibilità. Già nel gennaio 1943 i due firmano un accordo per il lascito di oltre centossessanta opere. L’apertura della mostra attira l’attenzione del pubblico e della critica di tutto il mondo e accresce il prestigio del Philadelhia Museum of Art.
Tanto che quando Louise e Walter Arensberg, grandi collezionisti di opere cubiste e dadaiste, devono scegliere a quale istituzione donare la loro strepitosa collezione, Fiske Kimball propone loro di costruire addirittura una nuova area per esporre la loro collezione. Gli Arensberg nel 1949 mandano ‘in ricognizione segreta’ Marchel Duchamp, che gli fungeva fin dal 1913 da consulente artistico. L’artista è entusiasta, dichiara che l’edificio infonde ‘una sensazione di stabilità’.
La scelta è fatta: il Museum of Art di Philadelphia diventa non solo uno dei più bei musei del mondo, ma anche il più moderno.
Immagine di copertina: Berthe Morisot, Portrait of a Child, 1894, Philadelphia Museum of Art, Bequest of Lisa Norris Elkins, 1950