Alla Galleria Cardi si celebra il grande Enrico Castellani, uno dei beniamini del mercato artistico. Ma qual è il rapporto tra meriti artistici e valore economico?
Erano due giovani pittori provenienti da esperienze diverse e armati di artiglieria pesante da esploratori di nuove frontiere artistiche, quei due ragazzotti che nel settembre del 1959, a Milano, fondano una piccola rivista che scuoterà la cultura visiva degli anni Sessanta.
Erano il taciturno Enrico Castellani (1930), appena tornato dal Belgio con la laurea in belle arti tra le mani, e il vulcanico Piero Manzoni (1933-1963), fresco dei nuovi Achromes e con in testa lo spazialismo di Lucio Fontana; la rivista, «Azimuth», concertò in un periodo brevissimo, nemmeno un anno di vita con soli due numeri, i pensieri e le opere di artisti come Robert Rauschenberg, Yves Klein, Jasper Johns, Alberto Burri, Agostino Bonalumi, Vincenzo Agnetti, Jean Tinguely e lo stesso Fontana.
Dalle eterogenee personalità dei protagonisti in causa si apriva così quella rappresentazione chiamata, con un pizzico di vaghezza, Neoavanguardia: un virus che, in quegli anni, annientava tutto ciò che non riusciva ad affrancarsi da ideologie e politicismo del dopoguerra. Oggi, sempre a Milano, la sofisticata galleria Cardi celebra il primo di quei due giovani amici, con una mostra intitolata Enrico Castellani. Alla radice del non illusorio, raccogliendo quindici opere del grande maestro che, non da molto ottantacinquenne, si gode il suo straordinario successo artistico.
Quindici quadri che si sparpagliano nella vita dell’artista tra gli anni Sessanta e gli anni Duemila, sono esposti con crudezza museografica, senza cartellino, sui due piani della galleria-officina perfettamente funzionale: al primo i grandi monocromi basici si sposano con carisma al clima minimale che emana dalla vernice bianca dei muri; al secondo i monocromi colorati, rossi e blu, vicini uno all’altro, provocano effetti visivi inaspettati.
Con questa mostra si ripercorrono alcuni virtuosismi della sua inesauribile carriera. Ancora studente, Castellani muove i primi passi nell’orbita dell’informale sbirciando con occhio vigile alle esperienze tutto alcool e colore degli “action painters” americani. Ben presto però cambia strada, instaurando un accanito dialogo con le correnti europee “optical-cinetiche” e con i teutonici del Gruppo Zero. Prima di entrare di diritto e senza colpo ferire nella via maestra dell’astrattismo, l’artista mette a punto una formula espressiva vincente e rivoluzionaria: concependo il quadro come superficie plastica e strutturabile nella terza dimensione, flette la tela su chiodi e centine impiantati nel telaio, generando, con maniacale lucidità, un campo di estroflessioni e introflessioni, di pieni e vuoti, calibrati al millimetro. La luce, la stessa di Joseph Albers, batte sulle superfici in tensione rivelando innumerevoli percezioni visive.
Castellani lavorerà nel suo studio per più di cinquant’anni, in silenzio, con costanza da antico artigiano, sfornando una carrellata di quadri davanti ai quali siamo come corpi estranei e totalmente fuori fuoco: perché l’opera è ciò che si vede, un lirico processo materialista senza discussione.
Ma andando al di là dei meriti e della grandezza effettivi di questo importante maestro ciò che oggi colpisce è lo strapotere commerciale che il mercato dell’arte tributa senza freni all’autore: incensato da innumerevoli mostre, Enrico Castellani è attualmente tra i pittori più quotati del panorama artistico. Come un gigante tra nani, non c’è asta in cui le sue opere non raggiungano prezzi sbalorditivi.
Era il 2013 quando, nello svolgersi di una di queste importanti fiere, Giorgio Morandi rimase invenduto mentre Castellani sbancò. Ecco, l’esagerato valore economico conferitogli non intacca il valore artistico di Castellani; certamente però, pone qualche riflessione sulla nostra cultura visiva che non riesce a scorgere oltre a ciò che è meramente riconoscibile. Ma tutto questo a Castellani non importa, come non importava a quei due giovani amici del ‘59.
Enrico Castellani. “Alla radice del non illusorio”, Milano, Galleria Cardi, fino al 19 dicembre.
Immagine di copertina: una sala della mostra presso la Galleria Cardi. Courtesy Galleria Cardi