Centomila, uno, nessun Ulisse. L’Odissea cancellata di Isgrò

In Arte, Teatro

POMPEI, inaugurazione della rassegna n.7 del «Pompeii Theatrum Mundi», organizzata ogni estate dal Teatro Stabile di Napoli. Nella bipartizione delle cancellazioni artistiche e nelle parole di Emilio Isgrò.





Prologo: L’Odissea cancellata n.1, ovvero l’installazione scenico-visiva dalle iscrizioni negate.

L’area di accesso al Teatro Grande, il magico Quadriportico quadrato d’erba verde di norma vuoto e interdetto ai visitatori, diventa lo spazio ideale, cornice all’opera monumentale di Isgrò. Cinque enormi lastre nere in verticale e in parallelo come pagine di un rotolo antico che si apre di fronte a chi vorrebbe leggerne il contenuto. Impossibile! Come di consueto quando l’artista siciliano si confronta con la parola scritta. Anche questa volta, le infinite cancellazioni negano la comunicazione di un testo riprodotto nei caratteri grafici dell’antica lingua greca. Si intuisce che è un frammento del poema omerico, e tra le infinite cancellazioni si decifrano rari termini come nostos (il ritorno) o kardiés ton andrón (il cuore degli uomini) ma risulta pressoché impossibile dedurre a quale canto siamo di fronte. Non leggiamo mai il nome Odisseo, che di certo deve trovarsi nascosto sotto una qualche cancellatura, come se negandogli l’identità di singolo (eroe o semplice essere umano) si volesse dar risalto al valore simbolico universale della sua figura e della sua esperienza. Non si legge neanche il nome Itaca, che pure è evocata nel modo e nei colori in cui sono state realizzate le cancellazioni. Nelle due ultime lastre di destra si compone infatti la sagoma di una nave a velatura spiegata in lotta con una tempesta, la prua volta ad est. Verso l’approdo agognato. Ma un approdo stabile o un crossover di nuove partenze ed esperienze? L’installazione non lo suggerisce nemmeno, dialoga con le eleganti colonne del Quadriportico da struttura verticale a slanciate linee verticali e soprattutto con i silenzi e le ombre della sera e della notte calandosi in una mistica che annulla le coordinate cui si è abituati. Di nuovo (con Isgrò) in una magìa misteriosa ed ermetica. (Questa sua opera assolutamente sidespecific resterà fruibile per tutta l’estate a differenza dello spettacolo rimasto in scena dal 13 al 15 giugno).

Il lavoro teatrale: L’Odissea cancellata n.2, ovvero la riscrittura/cancellazione del poema classico.

Tutto rovesciato. Il pubblico seduto nelle poltrone sulla skenè, sulla paraskenia, sul logeion, sui parodos, sul proskenion e nell’intera area dell’orchestra, mentre l’azione teatrale si svolge sugli spicchi centrali delle gradinate del teatro, con i versi omerici proiettati sui gradini di pietra e via via illuminati, rimarcati e poi sempre vieppiù oscurati o cancellati. Le parole di Isgrò si vanno a sostituire a quelle antiche per annullarle e annullarsi. Si tratta di versi composti nel 2003, durante l’invasione dell’Iraq (e di quel periodo conservano e ritrasmettono umori e atmosfere) e vanno a comporre un copione molto letterario e non propriamente teatrale, tanto che al regista Giorgio Sangati resta poco spazio per esprimerne una personale attualizzazione scenica. Un nuovo Odisseo (il quasi monologante Luciano Roman, empatico e rabbioso) che ha un DNA in comune con illustri altri Odissei della cultura nobile occidentale e mediterranea, da Kazantzakis a Kavafis, e che non si dimentica del folle volo di Dante, ora si trova a che fare, lui gigante senza tempo, con una miriade di nani contemporanei, suoi interlocutori sulla scena. Soprattutto si ritrova faccia a faccia con le figure del mito che i secoli e le società hanno cambiato nei modi e nei significati, con una Penelope che è la vera detentrice dell’astuzia, con una Nausicaa ninfetta cultrice del coito anale, con una Circe la cui licenza elementare sa solo esaltare l’equivalenza tra porci ed esseri umani, con un Polifemo semi-down che è il vero Nessuno. Accanto a un solo autentico co-protagonista: Eolo il vento. Perché il vento spinge in giro per il mondo, perché il vento sparpaglia le cose, perché ogni cosa il vento la sa e la può davvero cancellare.

Foto di Ivan Nocera

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