Una storia di violenza e sfruttamento nel Perù del primo Novecento: “Tungsteno” di César Vallejo, riproposto da Edizioni Sur
L’assoluta accessibilità della vicenda e la straordinaria attualità di un libro pubblicato in Spagna nel 1931. Sono queste le caratteristiche di Tungsteno, del peruviano César Vallejo, riproposto in Italia dalle edizioni Sur, dopo l’esordio targato Savelli, datato 1976.
Al lettore occidentale moderno occorre uno sforzo di immaginazione per comprendere le circostanze che hanno portato l’andino Vallejo, ultimo di undici figli, ad abbozzare un romanzo tanto proletario quanto politico. Un romanzo che in poco più di un centinaio di pagine racconta le condizioni degli indigeni peruviani in bilico tra ruffiani e capitalismo, predati da una multinazionale statunitense senza scrupoli, ça va sans dire.
Cominciamo dal titolo. Il tungsteno è un metallo. L’etimologia del termine deriva dallo svedese tung sten, che significa “pietra pesante”. È il materiale feticcio per spiegare con efficacia quella rincorsa allo sfruttamento delle risorse naturali che l’America Latina ha drammaticamente registrato specialmente durante il XX secolo. E che Vallejo ha raccontato, con gli occhi del bambino autoctono, mettendo l’accento sulle incolmabili differenze tra i poteri forti, l’organizzazione e quella che con negligenza e arroganza viene definita “la civiltà” – con annesso articolo determinativo – e l’ingenuità di spirito che caratterizza i peones, gli indigeni, il popolo andino. Una dicotomia spietata.
Vallejo la descrive in maniera verista; esplicitandola e denunciandola. Tracciando la direzione per i romanzi degli anni cinquanta del premio Nobel guatemalteco Miguel Ángel Asturias, il suo “ciclo bananero”.
Tungsteno è un libro crudo, al cui interno ci attendono almeno tre scene spaventose, tre momenti che non possiamo non definire mostruosi, agghiaccianti. E che ci vengono restituiti quasi con dovere di cronaca, accentuandone la brutalità.
Sarebbe semplice, a questo punto, archiviare Tungsteno come un mero romanzo di denuncia, di propaganda, da collocare esattamente nel periodo storico cui appartiene (nonostante le vicende del libro siano ambientate a ridosso della prima guerra mondiale e non negli anni trenta della stesura), ma non faremmo i conti non la nostra, di società.
Perché le lotte di classe, il potere, lo sfruttamento, le atrocità, i collusi sono fattori rigogliosi e sempreverdi, modernissimi. E fanno di Tungsteno un libro ciecamente attuale.
Infine, in ultima analisi, il percorso dell’uomo Vallejo. Nato a Santiago de Chuco nel 1892, interrompe gli studi per lavorare nei campi di zucchero dove saggia la condizione di sfruttamento in cui versano migliaia di connazionali. Dopo il trasferimento a Lima, l’insegnamento e le prime pubblicazioni, emigra a Parigi e si avvicina al marxismo, nel quale vede una possibilità, una speranza di uguaglianza.
Quell’uguaglianza che deve aver marcato visita quando il popolo di Vallejo cedeva ai gringos le proprie terre, i propri campi di ocas in cambio di chincaglieria colorata, in cambio di una caraffa oppure due.
Tungsteno, di César Vallejo, (SUR, 2015, pp. 160, 15 euro)
Foto: Massimo Piazzi, La città mineraria peruviana di La Oroya