Bach e Scarlatti, letture filologiche e sperimentazioni elettroniche al San Fedele
La Ciaccona in re minore di Bach (tratta dalla Partita n. 2 per violino solo BWV 1004) è stata, a tredici anni, una delle mie prime folgorazioni musicali: nulla sapevo, allora, delle varie trascrizioni di questo celebre brano e del ruolo non certo marginale che esso ha avuto nella costruzione di un certo immaginario sonoro della musica classica; ma ho subito saputo che quella musica, con la sua forza intellettuale ed emotiva assieme, non mi avrebbe mai abbandonato.
Non mi stupisce allora che la nuova stagione di San Fedele Musica – Doppio ritratto: Bach-Scarlatti, Itinerari di ascolto acustici ed elettronici – sia partita proprio da lì, «da un’eredità universale […] per giungere alla nostra epoca intessendo un fecondo dialogo tra passato e presente» (come si legge nella presentazione della Stagione).
Dunque, nel concerto inaugurale – dal titolo Chaccone perspective – il palco dell’Auditorium San Fedele è stato equamente diviso tra il clavicembalo del giovane Jean Rondeau (nella foto) e la chitarra elettrica di Francesco Zago (coadiuvato dalla regia acusmatica di Giovanni Cospito).
La prima parte del concerto era dedicato alle “fonti”, ovvero alle musiche originali di Domenico Scarlatti e J. S. Bach. In un’ora abbondante Jean Rondeau ha fatto rivivere con grande maestria i due compositori: tempi agili, suono corposo, fraseggio intenso e un’accentuata libertà ritmica gli ingredienti principali della sua originale e intensa esecuzione. Al centro della performance del talentuoso clavicembalista c’era, ovviamente, la Ciaccona bachiana, in una versione assai particolare, che molto ci dice sul senso delle fonti e sul rapporto tra passato e presente: Rondeau ha eseguito, infatti, la versione di Brahms per la mano sinistra, adattata da lui stesso per il clavicembalo.
La seconda parte si è aperta con una composizione originale di Mattia Clera, a dire il vero poco interessante. Assai più interessante è stato, invece, l’esperimento di Zago, anche se la performance poteva essere gestita in meno tempo (il concerto nel complesso è durato più di due ore). Il percorso del capolavoro bachiano si struttura chiaramente in tre parti: sezione in minore, sezione centrale in maggiore e ritorno al minore; un viaggio non solo musicale, ma anche esistenziale.
La prospettiva di Zago riprende tale partizione, dilatandola fino al parossismo e, fatto ancora più interessante, smembrando la Ciaccona fino a renderla quasi senza corpo, nonostante il suono si accumuli ripetutamente fino a sfiorare il rumore. Ne nasce un nuovo viaggio, astrale e straniante, dove solo a tratti riemergono frammenti dell’“originale”, come ricordi i cui pezzi stentano a combaciare.
E così si esce un po’ storditi dal concerto, con in testa le note del tema bachiano che non ti vogliono più abbandonare, perché in qualunque forma si presentano hanno il potere di incantarti come la prima volta.