Dopo gli inquietanti “Nuevo orden” e “Sundown”, il regista messicano Michel Franco esplora in “Memory” il cuore fragile dei ricordi. Che è quello di Sylvia, alcolista con figlia adolescente che rincontra Saul, forse causa, con altri, di un antico trauma giovanile responsabile della sua dipendenza. Ma forse no. Tanto che fra i due scatta qualcosa. Un racconto che usa i morbidi movimenti di una cinepresa delicata e rispettosa per coinvolgere lo spettatore: senza finti glamour o happy end fasulli
La vita di Sylvia, protagonista di Memory del messicano Michel Franco, scorre tranquilla e rigida, dentro una stretta carreggiata fatta di incontri con il gruppo di Alcolisti Anonimi, una figlia adolescente che scalpita ma non si ribella, un lavoro faticoso in un centro di assistenza per disabili, un appartamento modesto in un mesto quartiere di periferia. Un equilibrio solido, in apparenza. In realtà destinato ad andare in mille pezzi e senza preavviso alcuno, il giorno in cui Sylvia incontra Saul a una reunion dei compagni di liceo. Lui si comporta in modo molto strano, la segue fino a casa e rimane ad attendere davanti alla sua porta tutta la notte, sotto la pioggia scrosciante. Lei si convince che lui, proprio lui, sia insieme ad altri responsabile del trauma subito da ragazzina, quello che l’aveva condotta sulla strada di un precoce alcolismo.
Ma forse Sylvia si sbaglia, la sua memoria traumatizzata sovrappone volti ed epoche, non riesce a distinguere tra vittime e colpevoli, a tenere insieme le responsabilità della vita adulta – e di una figlia da crescere – con le ferite ancora da rimarginare della propria devastata infanzia. E Saul non sembra certo la persona migliore per aiutarla a ritrovare un equilibrio: soffre di una forma di demenza, nonostante l’età tutt’altro che avanzata, e alterna periodi di lucidità a momenti di assoluta mancanza di controllo.
Sullo sfondo di una New York che respira, e sembra partecipare come una sorta di terza figura, a volte opaca, a tratti smagliante, quello che viene messo in scena è uno straziante corpo a corpo tra paura e desiderio, un incontro di anime, una danza sinuosa tra i meandri oscuri della memoria e i giochi di specchi tra passato e presente, rimpianti e progetti. E i due protagonisti – l’impeccabile Jessica Chastain e il magnifico Peter Sarsgaard, coppa Volpi all’ultima mostra del cinema di Venezia – costruiscono insieme un ritratto a due voci complesso, emozionante e umanissimo.
Dopo la violenta distopia di Nuevo orden e l’inquietante provocazione di Sundown, Michel Franco sembra volersi concedere la possibilità di esplorare il cuore fragile dei ricordi, la precarietà dei sentimenti, l’inatteso sbocciare della più improbabile e struggente delle storie d’amore. Il tutto raccontato con morbidi movimenti della macchina da presa, tanta delicatezza e rispetto, senza rendere fintamente glamour la solitudine, senza regalare happy end posticci, ma coinvolgendo lo spettatore in una sorta di commovente scommessa sul futuro. Qui e ora. Nonostante tutto.
Memory, di Michel Franco, con Jessica Chastain, Peter Sarsgaard, Brooke Timber, Merritt Wever, Elsie Fisher