Abbiamo immaginato un magazine online. Uno dei tanti? Speriamo di no.
Uno dei problemi fondamentali della cultura oggi è la selezione: nella Babele di eventi, iniziative, mostre, film e spettacoli da cui siamo quotidianamente bombardati, selezioneremo quelli di cui valga la pena parlare. Non necessariamente in termini positivi: dagli errori si impara, con le stroncature si cresce. Non esercitare il proprio occhio critico nei confronti della realtà, significa rinunciare al proprio ruolo di critici.
Il nostro è un giornale intergenerazionale: non c’è gerontofilia, ma nemmeno una visione messianica della gioventù. Sembra una banalità, ma non è più tanto di moda: i più giovani hanno molto da imparare dai meno giovani, e viceversa. Nel dialogo, nello scontro e nel confronto tra diverse generazioni sta uno dei punti chiave del nostro progetto, che solo così potrà rivolgersi alle più diverse fasce d’età, sempre e comunque curiose di leggere un punto di vista diverso.
Il nostro giornale ha una linea editoriale: i contributi, anche dei collaboratori esterni, esprimono una linea editoriale e una visione culturale definita. Pur declinata in modi diversi a seconda delle occasioni e degli ambiti, chi partecipa a questo progetto condivide un’idea di cultura che non può, oggi, per la necessità di farsi prodotto culturale, rinunciare alla qualità. Ciò comunque non ci toglie la possibilità di confrontare punti di vista diversi, ed anzi, ne aumenta la necessità.
Solo in questo modo si può continuare a credere nel ruolo politico che la cultura ha e deve avere. Una mostra, un libro, un film, uno spettacolo teatrale, un concerto hanno sempre, in un modo o nell’altro, anche un significato latamente politico. Il prezzo, l’accessibilità, l’idea di mondo che ne traspare sono tutti aspetti prettamente politici. Sostenere il contrario significa chiudersi nella famosa torre d’avorio dell’arte per l’arte. E invece noi crediamo di dover parlare anche di politica della cultura.
In generale, noi vogliamo assumere il punto di vista di chi fruisce della cultura, più che di chi la produce. Questo significa ricollocare il ruolo della critica alla posizione che le compete, ed anche porsi in una prospettiva esente da snobismi intellettualistici. Noi stiamo dalla parte di chi paga per una mostra, per uno spettacolo teatrale, per un film, per un libro e un concerto, e ci chiediamo sempre se quel prodotto valga quel prezzo. Questa è la domanda fondamentale che dovrebbe porsi un critico oggi, inserito davvero nel sistema dell’industria culturale: la produzione industriale di cultura non può più essere considerata una condizione patologica, ma una condizione fisiologica entro cui anche il critico deve ritrovare il ruolo che gli è più proprio, cioè quello di sostegno al pubblico. Il critico siede tra il pubblico, non tra i produttori.
Al lettore deve essere garantita anche la qualità di ciò che legge. I collaboratori, nel rispetto delle singole individualità, devono però tutti assestarsi su un alto livello qualitativo. Ogni analisi deve essere profonda, seria, motivata e sincera, e soprattutto esprimere un punto di vista competente e preparato.
Cultweek concentra la sua analisi in particolare su Milano. La dimensione locale, che non può però prescindere da una visione sempre più a largo spettro, è la via attraverso cui lanciare il giornale non solo come realtà editoriale, ma anche più ampiamente culturale: in questo senso il legame con Chiamamilano è teso a radicare nel centro della città uno spazio gratuito di condivisione di cultura in cui troveranno spazio proiezioni di film e cortometraggi, discussioni, incontri, piccole mostre, presentazioni di libri, concerti da camera e altro.
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