Jonas Carpignano, già regista dell’ottimo “A ciambra”, ha vinto la Quinzaine all’ultimo Festival di Cannes con “A Chiara”. Dove racconta la presa di coscienza di una quindicenne che vuole scoprire tutta la verità sul padre amorevole, scomparso in una notte di violenza. E insieme diventare adulta nonostante tutto e tutti. Un film di grande autenticità, con un cast di attori non professionisti, al centro del quale c’è la famiglia Rotolo e in particolare l’emergente Swamy, la giovane protagonista
Qualche giorno fa ho visto un film molto brutto. Come ci si accorge che un film è brutto? Perché non ha nulla di autentico. I dialoghi suonano falsi, le situazioni, i personaggi risultano falsi, l’intero film è costruito senza alcuna cura per la verità, che non ha nulla a che vedere con il reale ma con il desiderio di trasmettere qualcosa che abbia senso, che sia sincera. Tutto il contrario di quello che si avverte quando si guarda A Chiara, ultima opera del regista Jonas Carpignano, nato a New York da padre italiano e da madre statunitense originaria delle Barbados. Sottolineo il fatto che Carpignano sia di New York perché in effetti il viaggio fino alla Piana di Gioia Tauro in Calabria è davvero lungo e ci si chiede come mai sia atterrato proprio qui per fare del cinema.
La risposta banalmente è che Carpignano sente la necessità di mostrare che i sentimenti e le emozioni essenziali, quelli autentici appunto, appartengono a tutti. Basta solo far sì che mondi diversi vengano a contatto, il che è esattamente il senso dell’arte, e in questo caso del cinema: permettere questo contatto. Un’idea di cinema che nel regista è presente già da tempo, dal bellissimo A Ciambra, il film che lo ha fatto conoscere nel 2014. Ma forse Carpignano vuole anche svelare, a chi abita a New York, a Milano, a Parigi, in generale nella grandi città, il segreto di Pulcinella: e cioè che la vita ha un colore e un sapore molto diversi da quelli nelle grandi metropoli, sempre più simili fra di loro, sempre più conformiste nel loro voler essere corrette, attraenti, aggiornate.
Con Carpignano incontriamo un mondo che sembra mille anni luce da noi eppure è estremamente vitale, dignitoso. I protagonisti dei suoi film, nelle lande desolate che compongono la geografia calabrese, sembrano rivendicare destini molto più alternativi anche se difficili, di quelli dei loro coetanei nei centri delle grandi città. In A Chiara, presentato al Festival di Cannes dove ha vinto la Quinzaine, il regista mantiene vivo il desiderio di avvicinare mondi, di raccontare vite diverse. In questo caso è quella di Chiara, una quindicenne felice in una normale famiglia del Sud: il padre Claudio, la madre e le sorelle Giulia e Giorgia. E’ il diciottesimo compleanno di Giulia e il lungo racconto per immagini della festa si sofferma sui volti sorridenti, sui piatti ricolmi di salame e formaggio, le candeline, i balli. Carpignano non è interessato a fare dell’antropologia culturale. La sua
cinepresa sembra avere lo stesso valore dei video ripresi dai telefonini: testimonianza, ricordo, partecipazione. Ma è soprattutto sulla tenerezza che unisce Claudio alle sue figlie, che il regista si sofferma, un amore timido e profondo, inesprimibile quasi. Ci sono mille sfumature emotive negli scambi di sguardi la protagonista e suo padre, c’è la serenità, ma soprattutto il senso di un amore che avvolge e protegge.
Per questo è una vera e propria deflagrazione quella che la notte stessa sconvolge la vita di Chiara, iniziata con l’esplosione dell’auto del padre.
Un’esplosione che squarcia veli, rompe equilibri, scopre segreti. E soprattutto trasforma Chiara, la rende matura in una notte sola, la conduce verso una rivelazione che esige a gran voce. Non le bastano più le mezze frasi, non le basta l’affannosa normalizzazione della madre, l’acquiescenza della sorella maggiore, l’aderenza al codice. Tramortita dall’improvvisa assenza del padre e soprattutto di un senso, Chiara decide di cercare la sua verità. E non perché fin da subito sia animata da uno speciale compasso morale, ma semplicemente perché quell’amore che sente per il padre non riesce a trovare spiegazione, non collima con l’improvvisa latitanza di
Claudio, con i bisbigli, le accuse. Si rivolta, Chiara, e la rivolta si consuma fra i vicoli del paese, fra i volti conosciuti di parenti e amici che improvvisamente le sono estranei. Scopre man mano verità sotterranee, anche luoghi sotterranei, dove lei decide di scendere senza timore per reclamare la sua identità.
Così quando interviene lo Stato a dirimere il suo rapporto con il padre
allontanandola, Chiara non ci sta e fugge. Rifiuta la soluzione comoda e protetta, scegliendo invece di seguire il padre, di capire. Per una notte lo osserva “lavorare”, soprattutto lo osserva accettare il mondo che gli è stato dato, senza avere la forza di trasformarlo. In questa lunga notte Claudio pronuncia una frase emblematica: “questo è quello che siamo”, ma Chiara ha solo 15 anni, un’età in cui la costruzione del sé è l’avventura più eccitante che ci sia e non può essere un padre latitante a mettere un punto per terminarla. Se la vita è una fuga, allora Chiara sceglie dove e quando fuggire e lo fa solo per sé stessa. Il film si conclude con un altro compleanno stavolta è Chiara che compie 18 anni. Non vi svelo niente, solo che Chiara ha imparato a vivere con i suoi fantasmi, ma sa che la vita adesso è solo sua. Aggiungo solo che, come sempre nei film di Carpignano, tutti gli attori sono non professionisti e in questo caso i protagonisti sono un’intera famiglia. E sono tutti bravissimi. Swamy Rotolo ha uno sguardo intenso che regge qualsiasi momento e la mancanza di autenticità non è un suo problema.
A Chiara di Jonas Carpignano, con Swamy Rotolo, Claudio Rotolo, Grecia Rotolo, Giorgia Rotolo, Giuseppina Palumbo, Salvatore Rotolo, Carmelo Rotolo, Rosa Caccamo, Concetta Grillo, Carmela Fumo