Nei racconti de “Nelle terre di nessuno” Chris Offutt mette in scena le zone rurali dimenticate e desolate del Nord America
La prima cosa che mi ha colpito, prendendo in mano per la prima volta Nelle terre di nessuno di Chris Offutt, è stata la copertina.
Una bottiglia ingiallita, capovolta, con il corpo spaccato. Il collo è immerso in un oceano sanguigno, immobile. Affiora solo una piccola porzione di vetro, che pure non è levigato dal tempo ma, anzi, sembra essere stato rotto da poco, in uno scatto di rabbia. In quell’angusta terra di mezzo, tra il mare rosso e il cielo sporco, galleggiano una casa e un mulino a vento. Per quanto cerchino di emergere oltre i bordi frastagliati del relitto, i tetti delle case rimangono incastonati tra quelle colline di vetro.
Aprendo il libro e iniziando a leggere, le aspettative non vengono tradite. Tra le pagine, troverete infatti l’avventura, come ci si potrebbe aspettare da una vecchia bottiglia galleggiante, e il miraggio narrativo di un piccolo universo immaginato dentro di essa. Un universo di finzione, certo, ma anche un mondo in cui la realtà sa essere tagliente come il vetro che lo tiene rinchiuso.
Tutto incomincia con le colline, i boschi scuri, gli alberi e il legno degli alberi dei boschi scuri sulle colline. E dentro il legno, la linfa appiccicosa che ogni tanto fuoriesce dai tronchi feriti.
Le colline sono la scenografia immobile di tutti e nove i racconti collezionati dall’autore. Che siano visibili soltanto in lontananza, che siano solcate dai personaggi più impavidi o che siano scavate dall’interno dai minatori di carbone e quarzo, loro sono lì, una certezza e una condanna. Sono la terra che nutre e da conforto, ma sono anche le bestie e le rocce tra le quali gli uomini devono ritagliarsi ogni giorno il proprio spazio vitale. Lo sanno bene gli abitanti della conca, tra Crosscut Bridge e il Blue Lick River.
Nessuno di loro ha mai lasciato la valle: in molti lo hanno desiderato ma in pochi ci hanno provato veramente.
Junior ci è arrivato molto vicino, così come è arrivato vicino ad essere l’unico, sulla collina, ad aver finito le superiori. Eppure, alla fine, ha deciso di lasciar perdere: la città, tanto immaginata, in fondo non è altro che “un gruppo di persone che vivono insieme nell’unico punto dove c’è abbastanza spazio tra le colline”. La città è vicina alla valle, si potrebbe fare avanti e indietro tutti i giorni, eppure è lontanissima dalle speranze dei personaggi. È un luogo straniero e quindi ostile.
Poco importa se anche le colline sanno essere ostili: Old Bob lo ha provato sulla propria pelle quando la miniera gli è franata addosso, ci ha perso un occhio ma non ha mai preso in considerazione un mondo al di fuori di quello. Anche quando suo figlio Bobby, il Trovatore, perde una gamba schiacciata dal pick-up, non pensa neanche per un secondo a lasciare quelle colline fatte di duro lavoro, fucili carichi, whiskey e polvere.
Chiedilo alla polvere quanti uomini ubriachi e stanchi si sono sfidati a duello in quelle “terre di nessuno”. Con le armi a portata di mano nella rastrelliera del pick-up rosso, Jesse e Everet scommettono al biliardo fino a all’ultima banconota. Così fanno anche Fenton e i ragazzi, giù all’affumicatoio, loro, di sangue Melungeon certo sarebbero rimasti fino alla fine, pronti a morire in quella fumosa partita a poker, a cui l’autore sa dare l’avvincente sapore di un western dei giorni nostri.
Ma le sfide più grandi non sono quelle imbastite dagli uomini, per scampare alla noia. Bensì, quelle volute dalla natura che sceglie, quasi sempre, come campo di battaglia, i fitti boschi abitati da animali e spiriti.
Come da tradizione, il bosco è il luogo privilegiato dell’avventura, in cui i personaggi si perdono, vengono messi alla prova da forze sovrumane e misurano il limite delle proprie capacità. La foresta è il cuore selvatico e selvaggio della conca. Qui sono gli animali a farla da padroni e il pericolo è sempre in agguato: coyote, puma, orsi e serpenti contendono il territorio faticosamente guadagnato dall’uomo. Come ci ricorda il vecchio Tar infatti, se “oggi la gente vorrebbe che gli animali avessero gli stessi diritti dell’uomo, allora era il contrario.”
È nel fitto del bosco che si svolge il racconto forse più crudo e denso dell’intera raccolta. Con Luna calante ci si addentra in una doppia avventura: si scivola in una narrazione a scatola cinese che porta il lettore al punto più profondo della foresta. Qui, la ferocia senza scopo dell’orso si scontra con quella vendicativa dell’uomo in uno scontro che non lascia soddisfazione, perché quando si uccide, lo si fa e basta. “Una volta la gente credeva nei segni, anche in quelli atmosferici,” la luna calante può essere buona per seminare, ma non lascia scampo neanche al giovane Cody, schiacciato da un destino che nemmeno la sua fede cristiana nuova di zecca è in grado di contrastare.
Ma nella foresta non c’è soltanto il pericolo di imbattersi in animali feroci o memorie disgraziate. Nel folto della vegetazione trovano dimora alcune forze sovrannaturali che aiutano chi le sa ascoltare a trovare se stesso, a fare i conti con vecchi torti commessi e promesse del passato mai mantenute. “Certa gente dice che i nuovi predicatori hanno cacciato gli spiriti, ma secondo me non è vero. L’unica cosa che hanno cacciato è la consapevolezza che gli spiriti esistono.”
Gli spiriti possono presentarsi sotto varie forme: qualche volta sono degli animali guida, cervi, gufi o altre bestie che indicano la strada a chi la ha smarrita; altre volte, invece, prendono le sembianze di strane creature, vecchie come il mondo, che vivono nel tronco degli alberi. I personaggi non possono che fidarsi di loro se vogliono imparare qualcosa su se stessi. Così, il giovane Vaughn Boatman ha fiducia nel vecchio Lije, un nonno che non pensava di avere e che sembrava “appena uscito da una quercia.” Allo stesso modo la coraggiosa Beth, per salvare la sua famiglia, stringe un patto pericoloso con Zia Lith, l’ultima levatrice, che da anni vive nella foresta e spera ancora di ricevere l’amore di un uomo.
Quelli di Chris Offutt sono racconti che vanno letti all’aria aperta con l’odore acerbo di resina nella testa. I personaggi che incontrerete, tra i boschi e il fiume, non hanno bisogno di essere compatiti per le loro piccole miserie o giudicati per le loro debolezze. Le terre di nessuno sono la loro casa e, per loro, è difficile immaginare di vivere in un mondo senza colline.