Nicola Russo guida un lavoro – onesto e civile – in cui rievoca un incontro avvenuto a Parigi nel 1995. Che diventa scambio epistolare, stimolo creativo, e infine teatro
Christophe o il posto dell’elemosina è uno degli eventi teatrali che non assomigliano ad alcun modello, vivono di una spontaneità interiore e di una voglia di comunicazione che è fatta di teatro, certo, ma anche di esperienza umana.
Né l’una né l’altra mancano al bravo Nicola Russo, noto al pubblico di Elfo e Parenti, ora al Puccini fino al 7 aprile con questa confessione sociale pubblica che si svolge in una sala Fassbinder privata delle consuete file di poltrone e dove un centinaio di posti sono sparsi in una bella confusione, fra alcuni pannelli che riproducono squarci della realtà parigina degli ultimi, di cui si parla.
E Russo passa, cammina, corre, ansima, si arrampica perfino sulle travi del soffitto, scappa forse dalla sua responsabilità teatrale, questa volta davvero personale e interessante. Uso a raccontare quello che succede nell’animo umano mentre il tempo passa (un bello spettacolo è stato quello sulla terza età, per dirla diplomaticamente), Russo qui attinge da una sua esperienza, la conoscenza, tramite un incontro casuale, di un certo Sami, o Christophe, che il giovane attore 19enne incontra a Parigi.
Era o è, ma ora si sono perse le tracce, un sans papiers tunisino che vive di elemosina per le strade della città, conosciuto ed amato per il suo temperamento docile. Quando può va, come faceva il piccolo Truffaut, alla Cinèmatheque e vede i classici, gratis, oppure va a leggere libri in biblioteca, insomma non è un “barbone” qualunque, anche se i due mondi rimangono distanti.
Tanta è la curiosità che ci scappa con Nicola una cena insieme (vera o verosimile) e poi, svoltate le rispettive strade, ci sarà un intenso scambio epistolare (esposto nel foyer dell’Elfo) dopo il quale l’attore non è più riuscito a rintracciare questo misterioso amico.
Ora gli dà voce in prima persona nel monologo in cui paga come un debito umano di riconoscenza e reinventa la storia di Christophe sceneggiando un poco le lettere ricevute, prendendo da esse spunto per ricreare la psicologia di un personaggio e il suo contesto.
Sappiamo così da Russo che guarda negli occhi il suo pubblico (tra cui anche una sera il cardinal Delpini, fatto molto speciale e che gli fa onore) come si impara l’arte dell’elemosina, come si osserva il mondo e come si vive in prima persona la solitudine che sembra il teatro tradisca, ma a volte non c’è nessuno più solo di un attore in scena.
È un bel lavoro quello di Russo, ovviamente onesto e civile, che restituisce identità a quella che si suole vedere, specie ultimamente, come un massa nemica e che invece in Francia ha sempre trovato maggiore e più cordiale ospitalità.
Ed infine c’è quel margine di poesia che viene fuori da ogni frase, ogni gesto, ogni movimento, c’è la traccia di questa strana, provvisoria amicizia di cui esiste solo una prova generale ma che anche teatralmente funziona molto bene e risponde proprio al compito della scena che è quella di raccontare storie, come diceva Strehler e non solo lui.
Lo spettacolo ha vinto non per caso il premio le Cure della Caritas ambrosiana motivando con l’originalità di un testo che prende di petto la solitudine e la affronta con gli strumenti umanamente splendidi di un palco e delle invenzioni di un attore alla recherche anche di se stesso.
FOTO © LAILA POZZO