Berlino, gli amori, il desiderio di esistere: “Christopher e quelli come lui”.

In Letteratura

«Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto, completamente passiva, che registra e non pensa … Un giorno tutto questo andrà sviluppato, stampato con cura, fissato» scrive Christopher Isherwood. I dieci anni in cui è stato a Berlino, inseguendo l’amore, gli amici, il desiderio di essere finalmente ciò che sente lo segnano come una lunga incubazione: l’iniziazione alla vita e al dolore, in un tempo in cui la tragedia del nazismo diventa crudele realtà quotidiana. Quasi quarant’anni dopo, in un libro nel quale si ripromette di svelarsi e di utilizzare tutto quello che era stato accumulato in quel tempo lontano, Isherwood trova il coraggio e la forza di trasformarsi nell’oggetto di una straordinaria autobiografia.

C’è un libro di Christopher Isherwood intitolato Leoni e ombre, pubblicato nel 1938, che descrive la sua vita dai diciassette ai ventiquattro anni. Non è una vera autobiografia, però, denuncia l’autore perché tralascia molti episodi, ne esagera altri, dà ai personaggi nomi fittizi. Suggerisce infatti di leggerlo ‘solo’ come un romanzo.

È questa, che esce oggi per Adelphi, Christopher e quelli come lui la vera storia della sua vita e comincia proprio quando finisce il precedente romanzo, quando Isherwood ha ventiquattro anni e il 14 marzo lascia l’Inghilterra per Berlino.
La ‘vera autobiografia’ di Isherwood è scritta in terza persona e leggendola si prova un certo spaesamento, perché lui si tratta, si descrive come uno dei suoi personaggi, di cui svela la vera identità, le vere passioni, le vere vite mascherate nei romanzi che aveva scritto prima.


Finalmente il sogno si avvera, finalmente Isherwood parte per Berlino. Gliene aveva parlato il suo amico e compagno di studi Wystan Hugh Auden, appena più giovane di lui, che si trovava lì per una vacanza studio, dopo essersi laureato a Oxford. Nella città tedesca Wystan aveva conosciuto l’antropologo John Layard – Barnard, in Leoni e ombre – allievo dello psicologo americano Homer Lane. Le loro dottrine rivoluzionarie inneggiavano a liberarsi da ogni inibizione :

’… esiste un solo peccato: la disobbedienza alla legge interna della propria natura’.

È a questa orgia di ribellismo, a questo delirio di onnipotenza dissacratoria che si ispirano le poesie e la vita di Auden.
I due amici sono esaltati da questa rivelazione e per Wystan è la spinta per quel cambiamento che Christopher non aveva ancora avuto il coraggio di fare, pur desiderandolo con tutto se stesso.


‘Adesso bruciava dalla voglia di metterle in pratica, di scatenare i suoi desideri e sbattere buon senso e ragione in prigione.’


E quindi, giù la maschera: il vero motivo del suo viaggio a Berlino non è conoscere Layard, come scrive in Leoni e ombre. Quel che era bramoso di conoscere era la Berlino che gli aveva promesso Wystan. Per Christopher, Berlino significava Ragazzi, confessa.
A scuola si era innamorato un sacco di volte, ma era troppo romantico e non quagliava. Finalmente a Oxford ha il primo rapporto omosessuale, c’era riuscito solo perché l’altro gli era praticamente saltato addosso. Poi aveva avuto diverse avventure. Niente di speciale e qui ci fa un’interessante confessione. Sempre in terza persona.


‘Questo perché Christopher soffriva di un’inibizione, a quei tempi tutt’altro che inconsueta tra gli omosessuali dell’aristocrazia: a letto non era in grado di lasciarsi andare con un membro della sua stessa classe sociale o con un conterraneo. Gli serviva uno straniero appartenente alla classe operaia’.


Così comincia l’avventura: Berlino come il paese dei balocchi, delle meraviglie, delle voglie sfrenate. Nel libro compaiono tutti gli amici, gli amanti, i maestri che abbiamo già conosciuto sotto mentite spoglie nei suoi altri romanzi, come Ritorno all’inferno, La violetta del Prater, Un uomo solo, Il mondo di sera: di tutti ci svela la vera identità dietro il personaggio romanzesco, spesso si tratta di uomini e non di donne, come aveva ‘finto’ nella ‘fiction’ per farsi accettare dai benpensanti e non creare scandalo, ci svela il vero carattere, le piccole meschinerie, le gelosie, gli arrivismi suoi e dei suoi amici.
Il guaio è che il racconto è continuamente interrotto dal confronto tra realtà e immaginazione, e le persone vere sembrano paradossalmente dei pupazzi che lui tira fuori per smontare la sua verve creativa.
È proprio il bello dei suoi romanzi, quel che si prefigge di annientare. L’invenzione bugiarda avvolge in un manto seducente la vita quotidiana e le sue fatiche.

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