Primavera lombarda con rassegne in primo piano, dal Bergamo Film Meeting che apre col “director’s cut” del vincitore di otto Oscar “Amadeus” di Milos Forman a “Sguardi altrove” col suo occhio femminile sul cinema, al classico incontro dedicato agli autori da Africa, Asia e America (ci sarà “I’m not your negro”, documentario “nominato” agli Academy Award). Più una serie di pellicole originali che raccontano migranti che in Italia ce l’hanno fatta (“Strane straniere”), bimbi che studiano fuori di scuola (“Figli della libertà”), piccoli eroi di mondi ai margini in cerca d’identità (“Mister Universo”)
Il mercato del cinema in Italia ha (quasi) ucciso il prodotto medio. L’accentuata polarizzazione degli esiti commerciali dei film porta a fine stagione una decina di titoli al massimo (quelli che quest’anno sono sopra i 10 milioni di euro di incasso) a raccogliere la fetta più grande della torta: pochissimi big comici italiani, qualche actionner e cartoon Made in Usa, un exploit occasionale, che oggi dovrebbe essere l’acclamato La La Land, ma è al momento “solo” 14° in classifica con circa 8 milioni di euro all’attivo. Al lato opposto stanno tutti gli altri film, che per lo più devono accontentarsi delle briciole del box-office: e dentro c’è il cinema mainstream italiano, europeo e in gran parte anche americano, in tutte le loro declinazioni, alte e basse, commedia e dramma, maestri acclamati e new entries.
C’è però un terzo campo che si sta consolidando, e a Milano l’offerta di cinema lo mostra sempre più chiaramente, fatto di nicchie certo ridotte ma sempre più numerose e differenziate: è il pubblico, in prevalenza giovane ma non solo, del cinema “altro”, indie, un tempo si sarebbe detto d’essai, o come volete definirlo, che nasce e comunica molto sulla Rete. A questi spettatori si rivolgono nuove imprese, come l’appena nata Tycoon Distribution, o i web-cinematografari, come i fondatori della piattaforma Movieday che promuove on line molte proiezioni, o anche chi, con un certo coraggio, decide di aprire nuove sale, un caso recente è il CineWanted di via Tertulliano, gestito dalla società che ha fortemente contribuito a rilanciare in Italia il genere documentario.
Insomma si assiste a un piccolo boom di film che vengono da culture e cinematografie lontane, di quelle terzomondiste è l’emblema il Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina, previsto quest’anno dal 19 al 27 marzo, che sarà aperto da I’m Not Your Negro di Raoul Peck, uno dei cinque documentari in corsa per l’Oscar 2017. Esempio che introduce anche il ritorno del cinema della realtà, senza dubbio uno dei grandi fenomeni del momento, grazie al successo mondiale di Fuocoammare di Gianfranco Rosi e di altri titoli che promuovono una documentazione intelligente e ben raccontata, e spaziano dall’arte (dal meraviglioso National Gallery di Frederick Wiseman in giù) alla politica (è nelle sale A Good American dell’austriaco Friederich Moser), dal sociale alla cultura.
E come sempre in questa stagione primaverile ritornano a Milano e dintorni i festival dedicati al prodotto internazionale di qualità, tra ieri e oggi. Il primo a debuttare è il 10 marzo il Bergamo Film Meeting (fino al 19/3, info qui), che parte in grande con la riproposta del film da otto Oscar (1984) Amadeus, nella versione director’s cut firmata da Miloš Forman: a lui è dedicata una completa retrospettiva che va da Taking Off a Qualcuno volò sul nido del cuculo, a Valmont, mentre nel ridotto del Teatro Donizetti saranno esposti i preziosi, premiatissimi costumi (compresi quelli di Amadeus e Valmont) firmati da Theodor Pistek, in una mostra intitolata significativamente “La ribellione e lo sfarzo nei film di Milos Forman”. Oltre ai film in concorso e ad altre sezioni parallele, Bergamo propone poi la personale dedicata al grande sceneggiatore francese Jean-Claude Carriere, con titoli come Il fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel, Il tamburo di latta di Volker Schlöndorff, Danton di Andrzej Wajda, Milou a maggio di Louis Malle e il televisivo Mahabharata di Peter Brook.
A Milano invece si terrà dal 12 al 19 marzo la 24a edizione di Sguardi Altrove – International Women’s Film Festival anche questo con un’attesa anteprima inaugurale, Certain Women di Kelly Reichardt, che vanta un supercast femminile da Michelle Williams a Kristen Stewart, da Laura Dern all’attrice-rivelazione Lily Gladstone. Fra i piatti forti della rassegna la retrospettiva dei film di Maren Ade, la regista di Vi presento Toni Erdmann, in corsa all’ultimo Oscar, e il debutto milanese di The Love Witch di Anna Biller, l’horror-thriller che si rifà ai b-movie anni ’60 passato all’ultimo Torino Film Festival. Due le masterclass, con Irene Dionisio, regista di Sponde e Le ultime cose, e con la documentarista Rossella Schillaci (Libere, a breve in circolazione).
L’offerta di cinema altro non si limita però alle rassegne, più o meno tematiche. Meritano una segnalazioni anche alcuni film in uscita, come Mister Universo della bolzanina Tizza Covi e dell’austriaco Rainer Frimmel, già autori della Pivellina, che arriva in sala dopo una menzione speciale a altri premi conquistati all’ultimo Festival di Locarno: la mano gentile, attenta alle realtà marginali, dei due registi, si esercita qui a raccontare il mondo degli artisti di circo, in un singolare e serio, a tratti malinconico, mockumentary. Perché se il film non ha propriamente un passo documentario, anzi la coinvolgente storia del giovane domatore Tario in cerca del suo idolo, l’oggi 88enne Arthur Robin, negli anni ’50 primo Mister Universo di colore della storia, è piena di pathos, la scelta di far parlare e “agire” i personaggi reali, che “interpretano” se stessi senza “recitare”, crea un mix di realismo psicologico e pittura d’ambiente piuttosto originale.
A dispetto della caratura decisamente mainstream dei due protagonisti è una incursione nell’indie, per lo spunto narrativo e più di un elemento di regia, anche Il padre d’Italia di Fabio Mollo, in cui la cronaca del frenetico incontro on the road, da Torino a Reggio Calabria (la città del regista) tra Isabella Ragonese e Luca Marinelli, cioè fra un uomo che ha paura della vita e una donna che vorrebbe viverla tutta insieme, si allarga a temi molto vasti, a volte pure troppo: la maternità in condizioni esistenziali, non solo materiali, precarie e la paternità, spesso problematica da gestire per chi sta in un mondo gay; l’ambiguità dei sentimenti e il futuro insieme come speranza e minaccia. Un film discontinuo sul piano registico e narrativo, sostenuto da una coppia di attori energetici, duttili, ben assortiti.
Di ragazzini e di una vita scolastica senza compiti, voti, premi e punizioni, in una parola senza autoritarismo, parla Figli della libertà di Lucio Basadonne e Anna Polio, già autori di un cult del cinema promosso on-line, Unlearning, che narrava come il baratto può diventare (o ri-diventare) la base della vita. Qui si ragiona di apprendimento e futuro dei figli, nostri e dei due autori, che s’interrogano sulla scelta di indirizzare la loro piccola Gaia verso un sistema d’istruzione non convenzionale, in casa e/o in una “scuolina” d’impostazione fortemente libertaria. Ma la domanda è: facendo così, si può diventare grandi senza poi cedere nel confitto col “mondo reale”? Un documentario coraggioso, provocatore, a tratti forse anche non condivisibile, ma di certo frutto di una lunga ricerca, in Italia e all’estero, di situazioni d’insegnamento diverse, di pensieri, viaggi, discorsi, giochi e deliri coi quali sfuggire alla rigidità dei banchi e della classi tradizionali. Con uno stile leggero, che prende in giro sacri valori scolastici come disciplina, obbedienza, prestazioni, risultati, in cerca di un percorso di crescita diverso.
Strane straniere di Elisa Amoruso completa il lotto dei film “eccentrici” da vedere in questo periodo: racconta le vicende di cinque donne, migranti di lunga data, che in qualche modo in Italia “ce l’hanno fatta”: Radoslava è una pescatrice che ha fondato una cooperativa di donne impegnate a utilizzare il pesce invenduto per trasformarlo in prodotto alimentare commerciabile; Ana e Ljuba, l’una croata l’altra serba ma amiche inseparabili, gestiscono insieme una galleria d’arte; Fenxia detta Sonia è proprietaria di uno dei migliori ristoranti cinesi di Roma; Sihem, tunisina, si occupa di assistenza alle famiglie povere o in difficoltà tramite la sua associazione culturale che si rivolge a donne immigrate, e dirige una casa famiglia per anziani. Cinque imprenditrici da paesi lontani, “strane” perché non incarnano affatto lo stereotipo dell’immigrato desideroso di “farsi mantenere dallo Stato italiano”. Le accomuna da sempre la voglia di costruire realtà che producano reddito e lavoro anche per altri, contribuendo a integrare chi, come loro, è venuto da molto lontano. Ma Amoruso fa emergere tra loro anche un altro filo comune, privato: l’emancipazione da compagni di vita inadeguati, che ne limitavano le capacità creative e il desiderio di farcela da sole.