Apre le porte stasera una coraggiosa, piccola impresa dedicata al cinema di qualità: Il Cinemino, messo in piedi, attraverso un riuscito crowfunding, da nove cinefili appassionati. Occasione per mettere a fuoco come, con la città, sia cambiato, a Milano, anche il cinema. Prima serata dedicata al bel doc inedito ‘Faithfull’ di Sandrine Bonnaire
Debutta oggi alle 18.30, con un aperitivo di saluto e la proiezione del bel documentario Faithfull di Sandrine Bonnaire, una piccola, coraggiosa impresa milanese: il Cinemino di via Seneca. Sottotitolo, “il cinema visto da vicino”. Sì, è una sala tutto sommato minuscola (80 posti circa), nata dichiaratamente come realtà di quartiere e per il pubblico del quartiere, con l’idea di vedere un film e intanto stare insieme, in una fruizione collettiva che è l’opposto del divano di casa, per non dire della scrivania del proprio computer. È però anche vero che quel “quartiere”, la zona 4 di Milano, una città nella città tra Porta Vittoria e Porta Romana, insieme medio centro e media periferia, è popoloso quanto Padova. Fa 200mila abitanti, ai quali di cinema ne è rimasto uno solo, sia pure una multisala di capienza e programmazione buone, il Colosseo. Eppure da quella parti c’erano il popolare Minerva e il comodissimo Maestoso, l’Astoria antesignano dell’essai e il Lux diventato poi Mercury (e alla fine Teatro di Porta Romana), e sul confine verso la zona Venezia, l’Ambrosiano e il XXII marzo, grandi “proseguimenti di prima visione” (chi ha più di 50 anni sa cosa voglio dire). Ed altri spazi ancora.
Dunque, la decina di soci che s’è buttata in questa impresa, senza finanziamenti “pubblici” di alcun tipo per ora almeno, ha raggiunto con la sua offerta uno spazio di domanda scoperto, come direbbe un docente della Bocconi. Quindi, un’impresa in fondo logica, sul piano economico, neanche tanto eroica forse; ma, come sa chi nel (e del) mondo del cinema ci vive, questo pubblico sempre più familiare e teen, che sembra ormai amare solo actionner e cartoons Made in Usa o al più un paio di comici italiani, è piuttosto refrattario all’idea di andare vedere un film di qualità. Eppure la scommessa è proprio questa, rinnovare il pubblico del cinema altro, non di largo consumo, e farlo con bonus come le proiezioni in lingua originale e gli incontri con registi e attori. Per riuscire nell’impresa, ci sono voluti più di 500 donatori arrivati da un ottimo esempio di crowfunding, che ha prodotto quasi tutti i 50mila euro di cui i nove appassionatissimi organizzatori (cinefili fin da bambini, assicurano) avevano bisogno. Per ristrutturare i locali, prima occupati da un piccolo atelier di moda, comprare poltrone, strumenti di proiezione, insonorizzare le pareti e allestire un piccolo bar che, all’ingresso, dà il benvenuto agli spettatori, ma anche ai semplici clienti, con cocktail e taglieri. A consolidare ancor di più il rapporto con questo neonato luogo, la possibilità – subito colta da alcuni – di finanziare l’impresa intitolando una poltrona della sala. E così, al Cinemino, ce n’è una dedicata al regista Claudio Caligari ( l’ha voluta Valerio Mastandrea), una a Sandro Roventi, prof della Bocconi che ha fatto innamorare del cinema generazioni di studenti , alcuni dei quali lo hanno voluto così ricordare, una che la fotografa Giovanna Calvenzi ha deciso di intitolare al grande Gabriele Basilico e non manca neanche una storica comparsa di Cinecittà, Rossella Rosa.
Qualche cifra per capire che razza di fegato ci vuole oggi per aprire una sala di cinema. Archiviata con qualche nostalgia l’era del cinema in sala come unica chance per commuoversi di fronte a eroine ed eroi dello schermo (il picco massimo degli spettatori in Italia, 819 milioni in un anno, era già sceso nel 1975 a 515 milioni), abbiamo attraversato trent’anni di dominio incontrastato della tv, che in tutte le sue forme, e quasi sempre gratis, elargiva a casa propria film a valanga: reti generaliste e tematiche, via etere e cavo, oppure fiumi di videocassette e poi dvd spesso allegati ai giornali, al massimo con qualche contenuta spesa per il canone e gli acquisti on demand. Risultato, in Italia nel 1992 si sono venduti poco più di 83 milioni di biglietti, ovvero ognuno di noi è andato al cinema in media una volta e mezza l’anno. Oggi, nel Duemila della polverizzazione della domanda e dell’offerta di immagini, tra sale Imax, home theatre e ogni tipo di device tecnologico (smart tv e schermi di computer, cellulari e tablet), pur nel turbinio di fornitori collettivi sempre più raffinati – come Netflix – e di approcci individuali illimitati alla Rete, anche in tema di film – vimeo o link, legali o pirata – un costoso ed efficace rinnovamento dei locali ha prodotto qualche segnale di ripresa: ad eccezione della scorsa stagione, siamo da vent’anni circa al di sopra dei 100 milioni di biglietti venduti ogni anno (nel 98 ben 118 milioni) e la fine della fase più acuta della crisi economica stimola qualche speranza.
E in tutti questi anni Milano ha mutato pelle anche in questo. Dall’abisso del quotidiano stillicidio di sale che chiudevano negli anni 80-90, diventando garage e show room di mobili o vestiti, jeanserie e gastronomie, e in anni più recenti stores di telefonia o pet-shop, l’emorragia di pubblico in sala (dai 7,1 milioni di spettatori del 1995 ai 5,1 milioni del 2010), ha costretto tutti a chiudere o a cambiare. Nei modi più diversi. Se in città nel 1962 c’erano 133 sale e 134 schermi, nel 2015 la nostra area metropolitana conta 51 cinema e 223 schermi, e convivono megastrutture da venti sale come il Bicocca Village con sfide quali il nuovo Cinemino. Si può gustare un film mangiando, in uno spazio dell’Anteo Palazzo del Cinema, e nello stesso complesso da 11 sale e 1700 posti in totale è anche possibile prenotare e vedere il proprio titolo preferito. Oppure si può “vivere” il proprio film, seduti su una sedia girevole e indossando un visore predisposto per la realtà virtuale all’Ultrareal World, “costola” del Milano Film Festival, dove in venti si vede ciascuno la stessa pellicola, ma ognuno sul proprio schermo personale. C’è il Wanted – Clan dei visionari, i già più collaudati Beltrade e Palestrina e l’ultimo multiplex di qualità, il City Life di zona ex Fiera-Tre Torri, con le sue sette sale da 1200 posti.
Sala “di quartiere” un po’ sui generis, il Cinemino, a metà strada tra il mitico piazzale Libia, sede di omeriche partite di calcio infantile e lo storico Teatro Franco Parenti che da 45 anni si batte per valorizzare l’autore, la parola sulla scena (possibile una collaborazione tra i due), sarà aperto dalle 14 (ma si pensa anche a un’attività mattutina) fino all’ultimo tradizionale spettacolo serale, a mezzanotte circa. “Nel pomeriggio si studia un’offerta pensata per bambini e ragazzi o persone più mature, e ai film recuperati” spiega Sara Segrati, che è nello staff – mentre in serata sarà dato spazio a rassegne, incontri con ospiti e workshop con gli addetti ai lavori». Si vedranno molti film non distribuiti o circolati male, documentari, cortometraggi, opere sperimentali – magari fuori formato – omaggi ad attori o registi, a cinematografie nazionali.
La normale programmazione (tessera annuale 5 euro, biglietto a 7) parte domenica 11 con Leo Da Vinci – Missione Monna Lisa, film d’animazione di Sergio Manfio e Grace Jones – Bloodlight and Bami di Sophie Fiennes, sulla grande cantante pop americana, e a ruota da lunedì Atto di difesa – Nelson Mandela e il processo Rivonia del regista congolese Jean van de Velde a Tutti gli uomini di Victoria di Justin Triet e l’italiano Gli asteroidi di Germano Maccioni che sarà in sala venerdì 16. A breve titoli di area francofona come Felicitè di Alain Gomis, premiato alla Berlinale 2017, e Il mio Godard di Michel Hazanavicius. E il 19 “Cinemilo day” dedicato a Sandra Milo, con l’attrice presente in sala, insieme al critico Gianni Canova).
La giornata d’apertura, con proiezione no stop, o meglio in loop come si dice ora, è dedicata al bel documentario Faithfull di Sandrine Bonnaire (la ricordate giovanissima protagonista di Senza tetto nè legge di Agnés Varda?) su Marianne Faithfull, un’intervista ritratto arricchita di contenuti d’epoca e inserti di film e concerti in cui l’ancora bellissima cantante-attrice, storica fiamma di Mick Jagger (preferito a Keith Richards e Brian Jones) racconta i suoi primi anni ruggenti nella Swinging London (soggetto anche del recente, bellissimo My Generation di David Batty con Michael Caine), ma anche le sue tappe successive, nella musica e nel cinema (fu la strepitosa protagonista, qualche anno fa, di Irina Palm di Sam Garbarski). Rivediamo i successi e gli anni bui dell’alcool e dell’eroina, quando le fu tolto un figlio e lei rispose tentando il suicidio, gli alti e bassi di una carriera libera e coraggiosa ma spesso infelice, costruita intorno a una voce straordinaria, impregnata e sempre più corrosiva, triste, blues. Faithfull duetta con Bonnaire, regista/intervistatrice curiosa e incalzante, a volte anche un po’ spietata, e Marianne la ama e l’allontana, lungo tutto il film, in una relazione forte, intelligente che è senza dubbio uno dei punti più interessanti dell’operazione.