“Stringimi forte” è l’ottava, riuscitissima regia dell’autore/attore francese, tratta da una bella piéce teatrale di Claudine Galea. Merito della sua ottima protagonista Vicky Krieps, già ammirata nel “Filo nascosto”, qui nel ruolo di una signora che di colpo, senza motivo apparente, una mattina lascia il marito e i due figli. La sua vita è in bilico tra un passato doloroso e un futuro pieno di fantasmi
È mattino presto, Clarisse (Vicky Krieps) esce di casa, sale in macchina e se ne va, lasciandosi alle spalle due figli e un marito, senza una parola, con apparente quieta indifferenza. Scappa via ma intanto continua a pensarsi dentro quella casa, insieme al marito che prepara la colazione e rabbioso getta nella spazzatura i cosmetici della moglie, al figlio che pone domande imbarazzanti, alla figlia che sembra interessata solo al suo pianoforte. E intanto il tempo passa, luoghi e volti si sovrappongono, si confondono, cambiano di segno. Memorie che si accumulano sotto forma di sbiadite polaroid, come carte da giocare nella ricerca di un impossibile senso, della storia che stiamo guardando e non solo. È una donna in fuga, la protagonista di Stringimi forte, una donna in cerca di qualcosa, in bilico tra un passato doloroso e un futuro popolato di fantasmi. Perché anche quando lo sai, che quello che stai “vedendo” è solo frutto della tua immaginazione, ci vuoi credere lo stesso. E perché credere in un possibile futuro diventa l’unico modo per fare pace con la sofferenza che abita il passato.
Inizia in un modo e finisce in tutt’altro il film di Mathieu Amalric: comincia prendendoti per mano, sembra raccontarti una storia di un certo tipo, già vista tante volte, alla fin fine quasi banale. Poi, d’improvviso, come per un imprevisto smottamento, tutto precipita quando cominci a capire che quello che stai vedendo è ben più perturbante. E l’effetto è un senso di vertigine, profondo e crudele. Ottimo attore, regista a dir poco sorprendente, Amalric si mette per l’ottava volta dietro la cinepresa, attingendo a piene mani dall’opera teatrale di Claudine Galea e confezionando un film suggestivo e straniante, doloroso e splendente. Cinema di emozioni e di frammenti, costruito come un patchwork temporale in continua oscillazione fra il grido del melodramma e il silenzio della tragedia già consumata.
Un puzzle enigmatico, struggente, fatto di immagini nitide, parole sfuggenti e tanta meravigliosa musica (da Chopin a Debussy, da Ravel a Rachmaninov) capace di raccontare l’assenza, il palpito della speranza, la disperazione più nera, la vita, la morte. Niente di più, niente di meno. Un film da non perdere, passato all’ultimo Festival di Cannes, per scoprire finalmente la bravura di Amalric regista (di cui varrebbe la pena recuperare almeno La camera azzurra, notevole riduzione dell’omonimo romanzo di Simenon) e veder danzare sullo schermo Vicky Krieps (già magnifica protagonista del Filo nascosto di Paul Thomas Anderson), straordinaria nella sua capacità di esibire fragilità e forza, paura e dignità, ragione e follia. Tutto in uno sguardo, un battito di ciglia, un sorriso.
Stringimi forte di Mathieu Amalric, con Vicky Krieps, Arieh Worthalter, Erwan Ribard, Aurelia Petit, Aurèle Grzesik, Samuel Mathieu