Il regista franco-argentino mette in scena una sessione di prove di un’energetica compagnia di danza moderna. Ma nella festa che segue lo show, qualcuno ha messo della droga nella sangria e i presenti perdono il controllo, tra sesso, violenza e liti di tutti contro tutti. Passato a Cannes 2018, il film si concentra (pure troppo) sul virtuosismo tecnico e registico dell’autore. E sulla voglia di stupire
Risale agli anni Trenta e al drammaturgo e regista francese Antonin Artaud la nascita del Teatro della Crudeltà, un movimento che avrebbe avuto per molti anni un seguito di registi e interpreti di primissimo piano, dal Living Theatre a Jerzy Grotowski, ideatori ma soprattutto protagonisti in scena di uno stile e un’idea di rappresentazione che si riferiva alla crudeltà non in senso letterale, come sadismo o pratica che usa il dolore, ma piuttosto come rifiuto di un teatro solo di testo o parola, in favore del corpo e della dimensione magica, e in cui la crudeltà era la spoliazione da ogni elemento non essenziale al fine della rappresentazione.
Traslando lo slogan dalla scena alle immagini, si può dire che ora Gaspar Noé, 55enne veterano festivaliero nato a Buenos Aires ma adottato da Parigi, assiduo soprattutto di Cannes grazie a un cinema provocatorio e sperimentale, abbia inteso avvalorare con Climax una forma di cinema della crudeltà che in effetti appare coniugato assai di più alla lettera, perché tutto, per gran parte della storia, si gioca sulle sofferenze dei personaggi (e un po’ anche degli spettatori, diciamolo). Passato alla Quinzaine e vincitore del premio Cicae al film d’arte, il film sembra decisamente animato dall’idea di “epater le spectateurs”, anche se Noè l’ha più volte negato, coinvolgendoli in una sorta di sabba infernale che conclude una session di balletto di una compagnia acrobatica e piena di energia ed espressività. Le cui prove sono decisamente la parte migliore del film.
Dunque venti giovani danzatori, scelti tutti fra veri specialisti (tranne la bellissima Sofia Boutella di Star Trek e Kingsman e Souheila Yacoub) si riuniscono in Una scuola abbandonata, per esercitarsi.al ritmo dei suoni techno-elettronici di Moroder, Aphex Twin, Daft Punk, Gary Numan, Soft Celo. Fuori c’è il gelo di una nevicata, dentro il calore dei corpi. Ma a un certo punto, a prova sostanzialmente finita, qualcuno versa della droga nella sangria offerta a tutti e il raduno degenera mettendo a nudo le furie e le paure dei presenti. Così la notte successiva si trasforma in un enorme rave autolesionistico, che lascerà anche molti morti sul campo, in un continuo crescendo vissuto da alcuni come estatico da altri come un incubo.
E dove troveranno posto ogni tipo di rapporti fisici (essenziale nel cinema di Noé è il legame tra amore, sesso e morte: “Vedo l’atto sessuale come un modo per sentirci vivi, e questo desiderio di vitalità deriva dalla consapevolezza e dalla prospettiva della morte..”), ma anche aggressioni, ripulse, vendette, ricatti, che non risparmiano neanche un bambino. E il finale sarà in classico stile horror, con la polizia a raccogliere i caduti, qualcuno che dice più o meno “è tutto finito ora potete andare a casa”, coperte e mestizia a chiudere il set e la storia.
Come sempre il regista argentino stupisce lo spettatore portando la vicenda che racconta ai limiti estremi del raggiungibile e sopportabile, ma per tutti, al di qua e al di là dello schermo. E non lo nasconde, già dalla prima immagine di una giovane donna insanguinata nella neve, a suggerire che quasi l’intero racconto sia racchiuso in un flashback. “Sono sempre stato affascinato da situazioni in cui il caos e l’anarchia esplodono all’improvviso, si tratti di risse di strada, di sessioni sciamanistiche (ecco di nuovo che si affaccia il teatro della crudeltà, ndr) potenziate o party in cui si perde collettivamente il controllo sotto l’eccesso di alcol”. E tutto questo è affidato alla sua indiscutibile abilita di muovere la cinepresa: certamente apprezzabile, se non fosse che questa atôut finisce per dilungarsi in piani sequenza eterni, il cui fine è molto autoreferenziale (porre appunto l’accento sul suo virtuosismo in fatto di angolazioni di ripresa) e assai poco narrativo.
Climax, di Gaspar Noé, con Sofia Boutella, Romain Guillermic, Souheila Yacoub, Kiddy Smile, Claude Gajan Maude.