Joel Coen senza il fratello ma con la moglie Frances Mc Dormand, protagonista sullo schermo accanto a Denzel Washington, sono gli artefici di questo film nato come esperimento teatrale che in Italia si può vedere solo su Apple tv+. Eppure ha ha delle qualità squisitamente cinematografiche, partendo dalla fotografia in b/n, e tutto rimanda a un incubo da espressionismo astratto dove il male si annida in alti, bui e gelidi corridoi, vere pareti dell’inconscio dei coniugi regali e assassini
E’ un peccato mortale per il cinema che questo Macbeth che per la prima volta vede al lavoro solo uno dei fratelli Coen, Joel, sia programmato in Italia dal 13 aprile solo da Apple Tv+, benemerita s’intende, senza la possibilità della visione su grande schermo, come accade ormai sempre più spesso ai film che poi passano sulle piattaforme, mentre in America l’uscita in sala permette di concorrere all’Oscar. Questa versione della Tragedia scespiriana, adattata e tagliata in modo encomiabile, nonché sceneggiata e diretta da Coen e dalla sua signora, la grande Frances McDormand, ha delle qualità che sono squisitamente cinematografiche, partendo da una fotografia in bianconero sublime, che inizia in un grigio sporco coi corvi e le sagome delle tre streghe che si riflettono nel fango.
E se la misura dello schermo è quella dei vecchi film del muto (1. 1:19), i riferimenti al passato sono ottimi e abbondanti, non tanto a Welles, Kurosawa e Polanski, che hanno diretto la storia del re scozzese, ma a molto espressionismo, all’incubo di una reggia che non è regale ma si insinua nel subconscio attraverso lunghi corridoi gelidi e bui e alte pareti, mentre una strega è capace di srotolarsi come un’attrazione da circo. Si sarebbe tentati di dire che è un cinema degno dell’espressionismo astratto in queste deserte stanze abitate da vampiri: un realismo baciato dalla metafisica, dove i due tremendi sposi in sanguinosa carriera non sono giovani ma sessantenni come i loro interpreti, quindi i vari assassinii di cui si macchiano sono l’ultima occasione.
Torna in mente perfino, e non a caso, a distanza di oltre 40 anni, il primo film dei Coen, Blood Simple: i coniugi Macbeth sono incapaci di pregare e di lavare le proprie colpe, hanno suggerito a Freud la nevrosi delle mani sporche che nessun sapone riesce a pulire e quella della colpevole veglia notturna, l’uccisione del sonno (e anche l’optional della paralisi del sonno, molto adatta alla tragedia). Freschi di una versione d’opera verdiana totalmente fuori strada (ma bisognerebbe sempre ricordare l’edizione di Strehler e Abbado alla Scala), questo Macbeth ha una abbacinante fotografia di grigio sporco ma luminosa e capace di entrare dentro le intenzioni nascoste, mentre gli attori sono un prodigio di misura e la McDormand si vede che prova dai tempi dell’high school la scena clou del sonnambulismo.
Il risultato stavolta è magnifico, si spera che gli Oscar rendano merito a un’operazione così originale, coraggiosa e fuori dai clichè perfino dei Coen, che hanno vagabondato per tutti i generi, trovando qui una parola definitiva nelle magnifiche battute sulle illusioni perdute degli umani destini. Gloria quindi a un’ambientazione reale ma non teatrale, mai artificiosa né regale (scenografia di Stefan Dechant), merito anche di attori straordinari: irriconoscibile, tutto interiorizzato, quasi zombie che cammina Denzel Washington al suo top, mentre la Lady dalle mani insanguinate di McDormand è eccezionale per misura, gioca a levare ed ottiene il grido anche con un sospiro. La fotografia di Bruno Delbonnel, girotondo di luci ed ombre predilige un buio che diventa misura espressiva, psicologica, cartina di tornasole di questa storia così celebre ed emblematica.
Girato tutto in teatri di posa quasi come i venerdì della prosa della Rai anni 50, con una fantasia scenografica rigogliosa, questo Macbeth esalta e non tradisce mai il valore morale e materiale della parola, come materia etica e narrativa, quindi è come se ogni frase uscisse al neon dalla bocca degli interpreti, mentre alla colonna sonora c’è Carter Burwell, storico collaboratore dei Coen. Il tutto è barbarico e raffinatissimo, stilizzato e naturalistico, fangoso d’acqua e sentimenti putridi, un calvario agorafobico (The Guardian) in cui le corone cadono per terra come di latta perché non valgono in realtà più nulla. Ha detto Coen: “Mi sono avvicinato al Macbeth come ci si avvicina a un dramma criminale degli anni 30-40, ma in modo del tutto naturale, senza farmi sopraffare dai limiti del cinema, come in una sorta di braccio della morte a pianta aperta”. Un bellissimo modo per accompagnare il classico andamento dei luttuosi fatti: “Un testo che attrae i giovani – ha spiegato la Lady – perché spaventoso, fitto, inquietante, gonfio di omicidi, profezie, caos e streghe. Quando ero alle medie ho recitato la scena del sonnambulismo ed è la scena che mi ha convinto a fare l’attrice”.
Il film è nato come un esperimento teatrale, con le prove intorno al tavolo e gli attori che si scambiavano i ruoli, come ha raccontato il protagonista Macbetto che non vedendo realizzata la profezia delle streghe, decide di ascendere da solo al trono uccidendo il re. Non c’è sole, non c’è luna, solo le ombre espressioniste che si allungano nelle deserte stanze e nei vampireschi corridoi, tra suoni, gocce, rintocchi che riempiono l’horror delle parole sublimi di Shakespeare nella sua assoluta verità poetica.
Macbeth di Joel Coen con Frances McDormand, Denzel Washington, Brendan Gleeson, Corey Hawkins, Alex Hassell, Bertie Carver, Kathryn Hunter