Tutta BookCity in cinque lettori

In Letteratura

Piero Colaprico osserva da scrittore-cronista gli autori e il pubblico che ha affollato gli appuntamenti del lungo weekend frequentato da più di 130mila persone

Con BookCity 2014 è nato, davanti ai nostri occhi stupiti, ammirati, solidali, il «lettore water proof». Ne ho incontrati quattro tipi, aderenti all’autore presentato, più una quinta tipologia, che mi riguarda, perciò cercherò di essere prudente.

Lettore Andrea De Carlo, il sentimentale

Cristina è seduta in prima fila, ha portato sua figlia e dice a De Carlo: «Due di due è il mio libro, adesso l’ho passato a mia figlia». De Carlo dice, come non pochi scrittori di essere un ladro, ma è un ladro sentimentale: se uno gli racconta come ama, come scappa dal partner, come rincorre l’amore proibito, persino come preferisce (omissis), temo sia capace di scriverlo, e lo rivendica. A volte le sue frasi creano un effetto “come un colpo di fulmine”, i lettori se lo mangiano con gli occhi: c’è, nello scambio, estasi.

Ammirazione: è un autore che ci crede davvero, alle sue parole, e il messaggio passa, se uno è sintonizzato sul sentimento che abbatte anche la tempesta.

Lettore Gianrico Carofiglio, l’enigma

Piove a dirotto, ogni volta che Carofiglio, persona auto-ironica, la spara grossa, c’è un colpo di vento, o un tuono, e lui ci ride, guardando il cielo. Il pubblico lo segue come e meglio di una serata tv sul crimine. Un’elegante signora, alla fine, dice: «Lui è un uomo, non crede?». Ha inventato, da magistrato, un protagonista avvocato, con crisi di panico, che però combatte e sconfigge falsi indizi, procure miopi, tribunali del riesame sballati. Non ama che i lettori gli chiedano sempre, come hanno fatto anche sabato sera, più volte: «Quando scrive un’altra storia con l’avvocato Guerrieri?».

Allegria: è in forma, è divertente e affascinante, da frequentare.

Lettore Valerio Massimo Manfredi, il divulgatore

Se l’è presa un po’, quando l’ho definito «divulgatore», perché si mette (dice lui) alla stessa altezza del suo pubblico, ma ha venduto 22 milioni di copie (cavolo!), ha libri arrivati alla trentesima e passa edizione. È un big. Ma forse, pur essendo professore, non si rende conto che tra il suo pubblico c’è tanta gente che, pur colta, «sa di non sapere». E lo cerca anche perché lui, che sa moltissimo del mondo classico, cita a memoria versi e passi, collega fatti diversi e trova sintesi mirabili, piacevoli, avventurose. Racconta – se si può passare il termine classico – in modo «erodoteo» un mondo lontano che sembra lì a due passi.

Emozionante: donne e uomini fremevano, come lo studente un po’ impreparato all’interrogazione di greco, ma se la gioca lo stesso.

Lettore Stefano Bartezzaghi, il reagente

Anagrammi, creatività, Bovisa, famiglia di enigmisti, da poco professore, scrittore, inventore degli indovinelli del film Oscar La vita è bella: il pubblico è qui davanti anche per ricordarsi, quando sarà sola, come vincere la noia: quella magnifica noia dei pomeriggi di sabato, con i cruciverba, il sudoku, i rebus. Viene in mente Renzo Arbore, «La vita è tutta un quiz», ma in una versione alta, vertiginosa, alla quale il lettore si abbandona, perché in fondo la vita è dura, ma è anche uno spasso, se la si sa prendere dal verso giusto. Non ama essere definito creativo, ma nemmeno i “talent show” rivelano chissà quali talenti: l’autore sembra non rassegnarsi alla volgarità del mondo idiota, e i suoi lettori sono d’accordo.

Ossigeno: finalmente la parola torna ad essere verbo che si fa carne, la nostra.

Laggiù ad Affori

Ho visto un quinto pubblico, il mio. Con Lina Sotis che parlava di uno dei miei personaggi, Tris, bandito che torna al Ticinese dopo vent’anni di galera. E con Anna Nogara che, a freddo, ha letto alcune pagine incatenando alla sedia il pubblico, e cantando la morte di Ninetta, la guarda calabrese, la malavita… In prima fila, alcuni ragazzini, che vogliono fare i giornalisti. E il tutto a Villa Litta, ad Affori. Con il giornale di zona, Abc, a fare da padron di casa.

Gratitudine: è vero che questa è una città di m., ma a volte m. sta per meraviglia. Quella voglia di meraviglia che ha spinto tanta gente, mentre il Seveso usciva dai tombini e il Lambro dagli argini, ad occuparsi di libri, il mio o di altri, è davvero il meno. Sarà una minoranza, ma che aristocrazia: anche in periferia.

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