La Colonia senza dignità di Pinochet e dei reduci nazisti

In Cinema

Emma e Watson e Daniel Bruhl sono i protagonisti di un dramma politico-sentimentale, diretto dal tedesco Florian Gallenberger, ambientato nel Cile del 1973, durante e dopo il golpe di Pinochet. Fiorella Infascelli ricorda i due giudici antimafia raccontando la loro convivenza “coatta”, con le famiglie, sull’isola sarda, mentre preparavano il maxiprocesso ai boss di Cosa Nostra.

Il 54enne Florian Gallenberger, poco noto in Italia, da piccolo ha fatto l’attore per tv e cinema tedeschi; studente in filosofia e psicologia, si è infine diplomato alla prestigiosa scuola di cinema di Monaco, e nel 2001 l’Oscar ha vinto l’Oscar al miglior cortometraggio con Quiero ser, sulla vita di due fratelli orfani che vivono per le strade di Città del Messico. Dopo rievocato nel 2009 in John Rabe la storia di uomo d’affari tedesco che fu testimone del massacro giapponese di Nanchino (1937-38), lavorando poi alla creazione della “zona di sicurezza”, torna ora con un altro film di forte impronta politica, Colonia.

Dove si raccontano due oscure vicende cilene, che nel tempo si sono anche sovrapposte, imperniate entrambe sulla realtà di Colonia Dignidad, 350 km a sud di Santiago: oggi è un villaggio turistico, Villa Baviera, ma fu fondato nel 1961 da un gruppo di emigrati tedeschi guidati da Paul Schaefer, ex medico delle SS, accusato in seguito di aver creato una setta religiosa circondando l’insediamento con filo spinato per impedire a chiunque, una volta spontaneamente entrato, di uscire senza il suo permesso.

Secondo la Cia e il Centro Simon Wiesenthal, il villaggio fu un rifugio di esiliati e simpatizzanti nazisti e dopo il golpe di Augusto Pinochet, nel 1973, divenne anche una prigione del regime, dove furono incarcerate e torturate molte persone. E servì anche come campo di allenamento per gli agenti della Dina, la polizia politica militare. Caduto nel 1990 il regime, Schaefer si nascose in Argentina, ma fu arrestato, processato e condannato a 33 anni di carcere per i delitti sui prigionieri e anche per abusi su bambini, molti dei quali figli delle aderenti, più o meno volontarie, alla sua setta. Morirà nel 2010 in carcere.

Di questo lungo incubo, Colonia racconta qualche mese, tra il ’73 e il ’74, usando una storia d’amore come snodo narrativo, quella di Lena (Emma Watson) e Daniel (Daniel Bruhl) tedeschi entrambi, lei hostess lui fotografo e militante di sinistra, trasferitosi in Cile per sostenere il governo di Allende. Quando lo raggiunge a Santiago, il colpo di stato travolge anche loro, catturati e rinchiusi nello stadio con molte migliaia di altri attivisti. Lei sarà rilasciata, lui trasferito a Colonia Dignidad, dove Lena accetterà di infiltrarsi nella setta, tra mille sofferenze e fatiche, per cercare di salvarlo.

Il film di Gallenberger non esce dagli onesti canoni di un racconto pulito, leggermente thrilling nella seconda parte, recitato e diretto con professionalità ma senza veri tratti di originalità. Ma basta già l’idea di far conoscere queste cupe vicende, in un’Europa in cui riprendono incredibilmente fiato e seguito le istanze politiche dell’estrema destra, e in qualche caso di un nuovo nazismo, a poco più di 70 anni dall’Olocausto, per renderlo comunque meritorio.

Colonia, di Florian Gallenberger, con Emma Watson, Daniel Bruhl, Martin Wuttke ,Vicky Krieps, Michael Nyqvist

FALCONE E BORSELLINO, UN’ESTATE ALL’ASINARA

La strage di Capaci, dove morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta (era il 23 maggio 1992), seguita due mesi dopo da quella di via d’Amelio, dove furono assassinati il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, è un’evento che resta fortemente vivo nella coscienza italiana, soprattutto dei giovani, che pochi giorni fa a Palermo sono stati protagonisti, in decine di migliaia, di una ricorrenza niente affatto rituale.

Abbastanza originale è anche il ricordo che di questi due protagonisti della lotta alla mafia ci regala Fiorella Infascelli con Era d’estate, che li racconta insieme, nell’estate del 1986 quando furono trasferiti d’urgenza all’Asinara insieme alle loro famiglie per la sempre più pressante minaccia delle cosche. I due giudici stanno lavorando al maxiprocesso che poi porterà in carcere molti dei protagonisti della criminalità organizzata, dunque Cosa Nostra li voleva subito morti, e anche una parte della politica italiana, in rapporti più o meno attivi con l’organizzazione malavitosa, non è che li ami più che tanto.

Nel film tutto questo è visibile, ma la scelta di Infascelli si dirige più al lato umano dei due personaggi, alla relazione tra loro e con le mogli (Valeria Solarino e Claudia Potenza) e i figli, quando, dovendo condividere tutti insieme la quotidianità, dai pasti ai bagni in mare, li vediamo quasi più come amici di infanzia che come colleghi nella lotta al crimine. Falcone (Massimo Popolizio, credibile nonostante un altalenante accento) e Borsellino (Giuseppe Fiorello, la cui sicilianità deborda invece in ogni momento), temperamento nervoso il primo, più dolce nei suoi risvolti paterni e coniugali il secondo, si ritrovano comunque in un’ironia profondamente isolana, di cui si servono anche per sdrammatizzare la prospettiva della propria morte.

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