Quando sono le donne a far ridere di cose di letto: un po’ cloni della Littizzetto, un po’ figlie di i Zelig, anche le Comedians scelgono questo lato della comicità
Gli italiani amano due parole con la doppia zeta. Una è pizza. L’altra la si sente ripetuta ad ogni angolo di strada, ricorre negli exploit comici, da ultimo soprattutto al cabaret femminile, ribaltando la convenzione che vuole i comici maschi dediti alla volgarità del doppio senso mentre le signorine, le non scostumate direbbe Franca Valeri, arrossiscono e fingono di non capire.
Era ciò che succedeva nel vecchio varietà, dove i grandi mattatori della risata lavoravano sulla assonanza e il gioco di parole, lanciando maliziose occhiate e i padroni della passerella come Dapporto e Macario si sceglievano le loro donnine con facoltà di qualche accarezzevole palpatina in scena (lo ricordava una signora come Elena Giusti) mentre Wanda Osiris distribuiva rose senza spine e sorrisi profumati di Arpége.
Uscendo poi dal teatro di varietà, al cinema le risate della commedia italiana (peggio se si torna indietro alla commedia dell’arte, alle farse) i detentori della risata erano quasi sempre i signori uomini, i colonnelli, i padroni del vapore e dei contratti. Ma con le dovute eccezioni: Franca Valeri, appunto, che ha inventato la forma e la sostanza della comicità femminile e rese memorabile l’uso dialettico del telefono nella mutevole società delle comunicazioni e la satira dei linguaggi teatrali e narrativi; e Tina Pica che portava alta la bandiera del teatro dialettale, lei che aveva fatto gavetta con Eduardo, per arrivare a Monica Vitti (che iniziò da attrice comica), gran partner di Sordi dopo la trilogia della incomunicabilità di Antonioni (che comunicava tanto), e Mariangela Melato, una che sapeva alternare i registri, chiudersi in una valigia e recitare Medea, saltellare tra gli equivoci di Feydeau e interpretare le magnifiche variazioni teatrali di Ronconi.
Ma nessuna di loro si sarebbe sognata di usare le due zeta o di dire parole sconce o far satira solo sul sesso: costruivano personaggi con i mattoncini Lego della psicologia, della sociologia, della osservazione quotidiana, dell’intuito e delle condizioni di fatto. Era una comicità spesso critica, non innocua, ma prendeva la rincorsa dal paradosso per insegnare qualcosa anche sulle italiane medie.
Oggi siamo nell’altro emisfero e l’arrivo della versione femminile di Comedians di Trevor Griffiths al Puccini, con regìa di Renato Sarti, evidenzia questi cambiamenti, ancora in atto e complici di episodi di successo televisivo come Zelig. La prima versione della commedia inglese, che fa piroette di teatro nel teatro, fu presentata nell’85 e poi replicata per tre anni al vecchio Elfo, diretta da Gabriele Salvatores, che poi la tenne a lungo nel suo inconscio d’autore (vedi Kamikazen).
Oggi questa edizione di tutte donne (tutte molto brave, ne ha parlato Raddusa venerdì) fa molto ridere e ricorda, più che il cabaret dei Gobbi, le vecchie serate d’onore dei primi attori che non si toglievano dalla passerella, oggi rimossa e scomparsa, e non la finivano mai di raccontare barzellette che poi il pubblico diffondeva a macchia d’olio già salendo sull’ultimo tram verso casa.
E loro potevano permettersi tutti i doppi sensi, ma certo meno audaci di quelli praticati dalle ragazze comedians di oggi che risentono anche dell’omologazione del successo tv e perfino di rete, tipo sketch, battuta, situazione you tube: in un certo senso sono tutte un po’ cloni di Luciana Littizzetto, un’altra che ha fatto scuola, rovesciato il tavolo.
Comunque l’elemento che le accomuna è proprio il fatto che, 80 su 100, il loro humour è imperniato sulle faccende di letto: in Comedians l’ucraina sedotta dal padrone, la moglie delusa, quella infoiata dal web ma che si sbaglia come nei Mostri alla Risi, per finire alla lesbica che fa outing con un racconto di festa di provincia notevole.
Ma la novità è che sono le signore a fare le sfrontate, le scostumate, come la Valeri chiamava le telefoniste: Sarti dice che oggi lo spettacolo esplora di più il lato privato che la fatica di diventare commedianti e di agguantare il pubblico, che sarebbe il vero soggetto.
La platea esplode due volte (la sconcezza detta dalla signora raggiunge due volte lo scopo), soprattutto di risate femminili che sono complici anche nell’equiparazione dei soggetti, a partire dal famoso Walter della Lucianina, che non è né Chiari né Veltroni, che sottintende ogni tipo di lotta femminile per ottenere un bel doppio senso.
Pensare che una volta la Valeri intitolava un suo spettacolo: Non c’è niente da ridere se una donna cade.