Dal testo di Tena Stivicic, una riuscita commedia corale
Un’atmosfera cupa, tra i tavoli di uno squallido locale di un quartiere dimenticato, gestito dall’equivoco Michi che vende il sogno di “una casa lontano da casa” per velare desideri laidi. É qui che Mila prova a custodire il suo sogno di diventare protagonista di un musical ed è qui che Marko, aspirante stand-up comedian, si ricicla temporaneamente come barman.
Venti gradini sotto il selciato di una Londra che è il simbolo più immediato delle città, sterminate e soffocanti, dove le esistenze di quelli che si usa chiamare millennials si incontrano in cerca di una prospettiva di futuro. Una generazione di sradicati, che si aggrappano – parte credendoci, parte a tempo perso – all’illusione di essere utili, come Gayle che lavora in un ostello per rifugiati, o che hanno già vissuto troppo. Perciò scelgono quel luogo per provare a rinascere, come Thaisa, vittima della tratta, o si lasciano semplicemente andare, arresi a se stessi e in crisi d’astinenza come Erik, reso incapace di gestire un rapporto umano.
Bastano brevi cenni sui protagonisti per dare l’idea della complessità di Fragile!, debutto della compagnia Caterpillar, che sul palco del Teatro dei Filodrammatici debutta dopo essere stata coltivata all’interno dell’Accademia. Coadiuvata dall’apporto di mani sicure ed esperte come quelle di Emanuele Arrigazzi e Umberto Terruso la compagnia, composta in gran parte di attori – e tecnici – giovani e giovanissimi, anche se in gran parte di già osservate ottime speranze, si cuce addosso un testo articolato, adattandolo con impegno al proprio materiale umano.
Ne emerge una resa efficace da parte di tutti i (molti, come sempre più raramente accade) attori in scena: Gaia Carmignani, Ilaria Longo, Valentina Sichetti, tra i quali spiccano Edoardo Barbone e Denise Brambillasca. Barman e comico dal passato oscuro il primo, che offre in dote un portato di umanità progressivamente svelato che lo distacca dal contesto ruvido in cui si muove, una aspirante artista votata alla solidarietà la seconda, il cui calore umano è destinato poco a poco a inaridire.
Il testo di Tena Stivicic intesse relazioni goffe e consapevoli, sincere e calcolate, amore e disprezzo, in un ordito di trame che si intercalano e che e la regia di Eugenio Fea sceglie di rendere con un tocco minimale, mentre le scene di Marta Vianello limitano a pochi arredi simbolici, mobili e senza radici quanto i protagonisti, la struttura scenica.
La scelta della compagnia ha l’intraprendenza di non scegliere una strada facile, preferendo – programmaticamente, viene da pensare – di debuttare toccando nervi scoperti dell’attualità e della storia recente, con una pièce che accumula una infinita messe di spunti interessanti e delicati che avrebbero potuto essere sviluppati anche singolarmente, ciascuno in un lavoro a sé stante.
C’è l’orrore della guerra e della tratta degli esseri umani, nelle vite di questi giovani, c’è il mercato del sesso e le cicatrici della guerra in ex-Jugoslavia, ancora da rimarginarsi.
E soprattutto la fotografia amara e diretta di una generazione di giovani che “possono andare dove vogliono, ma dove vogliono andare quando niente è familiare?”
Una presa di coscienza agra che non offre vie d’uscita, che nella sua scelta di raccontare la marginalità, quella drammatica accanto a quella comune della lotta contro gli affitti difficili da pagare, preferisce la realtà alla scena, tra dialoghi ruvidi e schietti e principi morali in sfarinamento.
Per uno che ce la fa, gli altri novecentonovantanove sono destinati a fallire, ciascuno a modo suo.
Anche l’arte, a cui consegnano i propri sogni e demandano la propria felicità, non è spesso altro che una chimera, da lasciar andare insieme alla loro giovinezza.
La giovane compagnia inizia quindi il proprio percorso con il coraggio di affrontare i propri fantasmi, personali e generazionali, in un lavoro interessante e suggestivo con ampi margini di sviluppo.
Con buone probabilità abbastanza per dichiarare vinta la prima battaglia.