L’Estate Sforzesca culmina, a Ferragosto, nell’allestimento di due spettacoli ideati e prodotti dal Cetec: in scena attori professionisti, le detenute di San Vittore e un gustoso omaggio a cinema e musica. In sottofondo, un intermezzo speciale…
Nella quarta edizione dell’Estate sforzesca sono tante, dal 7 giugno e fino all’imminente 16 agosto, le suggestioni offerte al pubblico in questa estate a odore di teatro, all’ombra del castello.
Sul palco di Cortile delle armi sono andati in scena, tra gli altri, anche i simpatici tipi del Teatro della Cooperativa (con l’ormai cult Piramo e Tisbe e con la Coppia aperta quasi spalancata), ma anche lo Shakespeare a pezzi di Omar Nedjari, un divertente monologo che, attraverso sentieri combinatori e miracolose (de) strutturazioni, si muove alla ricerca del Bardo nel quattrocentesimo anniversario della scomparsa di mastro Will – in linea alle altre rassegne estive che popolano il calendario di questo 2016.
Assai interessante, in chiusura di evento, è un’iniziativa organizzata dal Cetec, realtà tra le più interessanti nel panorama del teatro di ricerca contemporaneo, una cooperativa che favorisce l’inclusione sociale di personalità “svantaggiate”. Detenuti, minori dal passato e dal presente complesso, donne vittime di abusi, migranti.
Sono due le date che vedono il Cetec grande protagonista dell’Estate Sforzesca: il 15 e il 16 agosto, picchi ultimi della rassegna prima della chiusura. E la compagnia teatrale “regala” al castello due operazioni diverse, entrambe fondamentali nell’incarnare lo spirito di integrazione e rispetto per i diritti portato avanti dalla cooperativa.
Andiamo per ordine. Giorno 15, in collaborazione con l’associazione L’ombra di Argo di Roma, Cetec Onlus presenta Quando il cinema è dal vivo – La vita è musica, una carovana musicale che mette in scena attori, cantanti e orchestra per un viaggio alla (ri)scoperta di quelle colonne sonore che non solo hanno contribuito a rendere grande certo cinema, ma che sono rimaste impresse nella memoria del pubblico. Diretto da Fabrizio Russotto con la collaborazione di Donatella Massimilla (che di Cetec è fondatrice) vede in scena attori professionisti (come Gilberta Crispino e lo stesso Russotto, anime dell’Ombra di Argo) e le spett-attrici di San Vittore, fuori e dentro il carcere (come del resto recita il nome completo della compagnia) , affacciate alla finestra di un’esistenza che continua, include e contempla il teatro come passaggio significativo – lo spettacolo partirà poi per una mini-tournée a Verbania, dove sarà possibile vederlo il 17 di agosto all’Arena Centro Eventi il Maggiore.
E Donatella Massimilla è regista, giorno 16 agosto, del secondo appuntamento che vede in dialogo il Cetec e l’Estate Sforzesca: il Nuovo Teatrino delle Meraviglie, ormai rodatissimo spettacolo firmato dalla compagnia, ispirato al celebre intermezzo di Miguel de Cervantes e in mini-tournée, ancora all’Arena Centro Eventi il Maggiore di Verbania, il 19 di agosto. (N.B. In caso di pioggia entrambe le rappresentazioni si svolgeranno presso l’Auditorium Sant’Anna della città).
Lo spettacolo, che assembla le musiche dal vivo di Gian Pietro Marazza e Paola d’Alessandro, interpreti professionisti (come Russotto, la Crispino e i fratelli Borciani) e le detenute di San Vittore (Violeta, Francesca, Mariangela, Carolyne), racconta di un teatro “magico”, visibile solo a chi non è di sangue ebreo, a chi non è omosessuale, a chi non è extra-comunitario. Un’opera di scatenata attualità, di intensa forza politica – nell’accezione più civile e legittima che si possa immaginare -, un gioco alle meraviglie in cui si fondono la potenza del mezzo teatrale, la stupidità dell’umano e anche la sua infinita possibilità di salvezza. Sullo sfondo, un mondo che è Milano – e viceversa, una città dalle sorti indefinite, che permette al teatro di rivivere in forme e luoghi dalla grammatica selvaggia, libera, incontrollata. Anche nei cortili di un castello.
Ed è questo, in fondo, quello che di più bello lancia una compagnia come Cetec. Fare teatro oggi vuol dire non solo intrattenere il pubblico, studiare i testi, ragionare sulla contemporaneità. Fare teatro è anche reinterpretazione, nuova immaginazione, trasferimento e rispetto. È apertura, e non banalmente tolleranza (ché la tolleranza, invero, è un concetto ormai obsoleto e in predicato di snobismo): il teatro è in mano alle città, visibili e meno visibili. Quelle immaginate e sognate e quelle che vivono una durezza senza scampo, o una felicità improvvisa e sconvolgente.
L’omaggio più grande va a chi le abita, sia esso un detenuto o un attore professionista: ha in mano le chiavi della meraviglia. Può derivarne solo incanto.
(per le fotografie si ringrazia Cetec)