Essere miti, questo vuol dire essere forti
Chiunque abbia letto l’Iliade, a scuola o per piacere, sa che nelle pagine di Omero si possono trovare tutte le emozioni conosciute: rabbia, amore, dolore, animosità, cupidigia, sete di potere, ambizione, paura, viltà… Le sfumature, umane e non, dell’animo dei protagonisti vengono svelate grazie alla storia di un assedio. Nel racconto della guerra di Troia troviamo l’origine di ciò che viviamo e sentiamo ogni giorno, la pura spinta alla vita che persegue il suo agire negli anni.
Lo spettacolo Iliade, diretto e interpretato da Corrado d’Elia, sceglie e rielabora alcuni frammenti fondamentali del poema portandoli sul palcoscenico, in un monologo denso e toccante. La cornice, ristretta e accogliente, è quella dell’Alta Luce Teatro, un ex laboratorio in zona Navigli adibito a spazio scenico.
Con la musica a dare il ritmo, siamo prima sul campo di battaglia, poi nella camera dove Elena aggredisce e consola Paride fuggito dalla vendetta di Menelao e infine nella tenda dove Achille banchetta con Ulisse alla vigilia della morte del suo amato Patroclo.
A unire i diversi frammenti scelti c’è un unico grande tema: quello della memoria, della necessità di essere ricordati. Il mito dell’eroe, dell’impresa da compiere, del destino che incombe impietoso, sono tutti tratti di una civiltà che, pur lontana negli anni, permea tutt’ora la nostra vita. Dal nucleo dell’Iliade, l’ira di Achille, derivano tutti i fatti principali della trama; da un singolo sentimento, vorace e implacabile, prorompono tutti gli altri. Non è un caso che, pur cominciando il poema all’insegna della rabbia, la sua conclusione sia, all’opposto, simbolo di speranza: l’Iliade si conclude infatti con i funerali di Ettore, ucciso in duello da Achille e per giorni rimasto insepolto a causa dell’insaziabile sete di vendetta dell’eroe greco.
Protagonista dei 24 canti dell’Iliade ed eroe indiscusso perché, pur cosciente della sua fine, coraggiosamente affronta il destino, Achille risuona potente anche nel monologo di Corrado d’Elia; commuove la supplica finale di Priamo, padre affranto che bacia la mano dell’assassino di suo figlio pur di garantirgli una sepoltura dignitosa.
In quel momento l’eroe Achille fa posto al figlio che è stato e soddisfa la supplica dell’anziano re, così dignitoso anche nel chiedere e fiero nel sapere di non avere scelta.
Allo stesso modo, risalta la freschezza di Paride, pavido e bellissimo, incapace di affrontare Menelao e conscio della sua debolezza, capace soltanto di amare (ricambiato per volere divino) la sua Elena.
Ascoltiamo anche il racconto dell’ultimo straziante incontro tra Ettore e sua moglie, quando la donna lo supplica di rinunciare alla battaglia e di scegliere una vita diversa, al sicuro e insieme a lei, pur conoscendo a fondo il cuore dell’uomo che ha sposato.
Il monologo si conclude con storie che l’Iliade non comprende: la presa di Troia con l’inganno del cavallo, l’urlo inumano di Andromaca quando Astianatte viene gettato dalle mura della città, lo stupro di Cassandra nel tempio di Atena, la riduzione in schiavitù di Ecuba. Altri poemi e altre tragedie ci raccontano tutto il resto, altri componimenti ci parlano della fine ma l’Iliade non conclude, non termina, non sancisce nessun vincitore; per questo è così meravigliosamente grandiosa.
Con questo spettacolo, che fa parte dei suoi “album”, Corrado d’Elia riesce a creare una narrazione adatta a un pubblico ampio, apprezzata anche dai giovanissimi, che restituisce un poema risonante di significati attuali: perché il mito sintetizza sentimenti eroici ma al tempo stesso li rende più vicini al nostro stesso sentire.