A quasi dieci anni dal suo ultimo film il regista napoletano porta sullo schermo, come lo scorso anno Xavier Giannoli, uno dei capolavori del romanziere francese. Ma qui l’ansia di successo e la disposizione ai compromessi dei giovani formano un legame più che altro esteriore. Al centro c’è un mènage à trois a cavallo tra la vita sentimentale e quella artistica di Toni, uomo dai molti lati irrisolti. Sullo sfondo di una Milano città-cartolina, illusoria la sua parte e in parte ricostruita in studio
Presentato fuori concorso al Torino Film Festival, Perfetta illusione riporta alla regia Pappi Corsicato, dopo il suo ultimo film del 2013 Il volto di un’altra. Ma c’è da notare che in questi anni lontano dalle sale cinematografiche, il regista ha sperimentato più linguaggi tramite regie televisive (Vivi e lascia vivere, 2020), liriche (Carmen, rappresentata al Teatro San Carlo di Napoli, 2007), videoclip musicali (Nino D’Angelo, Brava gente, 2005) e soprattutto numerosi documentari, che rappresentano la parte più vivace della sua attività. La trama del film è molto semplice: c’è un ragazzo, Toni (Giuseppe Maggio) che aspira a diventare un artista; una ragazza, Paola (Margherita Vicario), sua moglie, che sogna di avviare un business e aprire un negozio tutto suo; e un’altra ragazza, Chiara (Carolina Sala), che ambisce a diventare una curatrice d‘arte di successo. Senza nessuno stupore, Toni, Paola e Chiara sono tragicamente destinati a intrecciare le loro vite, come nel più classico dei mènage à trois, finendo per non realizzare i loro sogni e compiere ciascuno il proprio ineluttabile destino.
L’idea del soggetto arriva al regista dalla lettura di Illusioni perdute di Balzac, ma i punti di contatto con il romanzo non sono che puri incidenti: si tratta solo di una suggestione iniziale sul tema della volontà di affermarsi da parte dei giovani, sui meccanismi che portano al successo e sui compromessi che si è disposti a subire per raggiungere il proprio obiettivo. Corsicato non è stato il solo a notare la modernità di quest’opera, concepita nella prima metà dell’Ottocento: nel 2021 il regista francese Xavier Giannoli propose una sua trasposizione per immagini del capolavoro di Balzac, con il titolo del libro. Ma con Perfetta illusione lo scrittore francese ci parla molto sottovoce, quasi un bisbiglio, che, se non fosse dichiarato dall’autore, rimarrebbe impercettibile.
Nelle prime scene del film conosciamo il protagonista, Toni, che ci appare come un vincente: ha una relazione piena di passione con sua moglie Paola, sta per fare carriera nel centro benessere in cui lavora e grazie al futuro aumento di stipendio potrà permettersi di comprare una casa più in centro, di mettere su famiglia, di avere tutto. Neanche a dirlo, questa favola è solo un’illusione. Proprio il giorno prima della promozione, Toni viene infatti licenziato per un piccolo gesto impulsivo. E l’illusione crolla. Questo primo turning point risulta un pretesto facile per dirottare la storia dalla perfezione tratteggiata all’inizio verso il canonico viaggio dell’eroe con tutte le sfide e gli ostacoli che comporta. E subito si arriva alla seconda illusione: Toni aveva accantonato il sogno di fare il pittore, ma ecco che Chiara, la ragazza di buona famiglia che ha causato il suo licenziamento, gli permette di entrare in punta di piedi nel mondo dell’arte grazie alle sue conoscenze. Da qui il corpo centrale del film è un susseguirsi di bugie, dette da Toni alla moglie, e di crescente passione tra Toni e la sua mecenate e amante, cioè Chiara.
L’amore non c’entra, in nessuna combinazione, perché i personaggi si usano, non si vedono, si rivolgono l’uno all’altra solo in funzione dei propri bisogni. Semmai la riflessione del regista sembra rivelare quanto le relazioni possano essere proiezioni di desideri personali sull’amante. Infatti Chiara proietta su Toni il suo desiderio di scoprire un talento e farlo emergere sulla scena senza l’aiuto dei suoi genitori, mentre Toni proietta su di lei la speranza di diventare un artista. Le parole che i due si scambiano non hanno mai a che fare con la sfera amorosa: “Non ho mai conosciuto una come te”, dice Toni alludendo alla diversa estrazione sociale che gli ha sempre precluso quel mondo; “Devi fare questo nella vita” dice Chiara, sperando di avere tra le mani il musicista giusto da promuovere.
Se quindi l’amore è solo un’illusione, non lo è certo quello nei confronti dell’arte, che per i personaggi è una vocazione, una chiamata, una dea al cui altare sacrificare tutto ciò che si ha. Toni non ha studiato né la storia né le tecniche pittoriche, e si vergogna a definirsi un artista, ma c’è una forza più grande che lo attrae verso quel mondo. E Chiara riconosce e ammira in lui questa spinta innata: per lei l’arte inizia prima ancora di nascere, grazie ai genitori, importanti collezionisti, poi la sua passione è cresciuta e si è consolidata con gli studi alla Saint Martins di Londra e ora sta per diventare un lavoro, la curatrice. Non le resta che trovare un autore cui dedicare la sua prima mostra personale: Toni è perfetto, è un outsider e non appartiene ai giri canonici, ma è appassionato e sembra disposto a tutto.
Il regista stesso è innamorato dell’arte, ha realizzato nella sua carriera moltissimi documentari sulla ceatività contemporanea, proiettati in musei d’eccellenza come la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi. E anche in Perfetta illusione la regia è sperimentale, ad esempio nell’utilizzo del fuori fuoco e dei movimenti di camera, ampi e fluidi. La sequenza girata all’Hangar Bicocca sembra quasi un omaggio del regista a Maurizio Cattelan: la macchina da presa accompagna lo spettatore alla mostra Breath Ghosts Blind, dedicando quasi una piccola retrospettiva alle opere esposte. la scultura col cane e l’uomo rannicchiati per terra, i piccioni che riempiono lo spazio espositivo e il monolite con l’aeroplano.
Capiamo anche che il regista ha frequentato l’ambiente dell’arte e i suoi salotti dalla precisione (quasi stereotipata) con cui delinea i personaggi di questo mondo: il critico autorevole e temutissimo con il dolcevita nero e l’occhiale da intellettuale; la giovane Chiara, moderna Twiggy, con i suoi look curati anni Settanta in contrasto con la freschezza dei suoi vent’anni; i collezionisti d’arte, soprattutto la madre di Chiara (Sandra Ceccarelli), eccentrici e snob, circondati da opere d’arte uniche conservate in abitazioni più che borghesi, ma con il vizio cool del tabacco rollato a mano. Non a caso Corsicato, rispetto a Balzac decide di spostare le ambizioni del ragazzo dal mondo della scrittura alla pittura, tecnica visiva che si presta meglio alla rappresentazione filmica. Ma qui c’è ancora un tranello, un inganno: non vediamo mai le opere di Toni. Vengono solo descritte dagli occhi dei personaggi che le guardano, e noi immaginiamo qualcosa di naif, intrigante ma troppo semplice, con qualche guizzo dato da un interessante uso del colore rosso. Forse poco più che oggetti decorativi. Quindi una volta di più ci chiediamo: Toni ha davvero talento? E cos’è poi il talento in un mondo in cui, come dice un altro artista (Ruggero Franceschini) “se non mostri non vendi e se non vendi non esisti”?
L’arte di Toni per esistere deve essere esposta in una galleria importante, recensita dal critico più autorevole e accolta da un pubblico più numeroso possibile. Bisogna seguire le regole del mercato, un discorso elementare che mette i sottotitoli a una parabola capitalista che ha poco a che fare con il talento. Se questo è il quadro dipinto dal regista, Milano è la giusta cornice in cui si muovono personaggi che la macchina da presa inquadra da molto vicino, esasperando l’uso del fuori fuoco a favore di piccoli, nitidi dettagli. Ma quella che vediamo attraverso gli occhi del regista è una città-cartolina fatta di inquadrature di City Life e del Bosco Verticale, di Porta Nuova e del Parco Sempione, montate in maniera quasi randomica tra una sequenza e l’altra. Anche la città è un’illusione, infatti, visto che tante scene sono state girate a Roma. Per non svelare il gioco le inquadrature restano strette su primi, primissimi piani degli attori, esaltando la bellezza dei loro volti più della loro capacità attoriale.
I confronti principali tra i personaggi spesso sono solo sfiorati, rimangono muti, drammatizzati dalle musiche di Brahms (che evoca il romanticismo come il romanzo di Balzac): vedi lo scontro finale tra le due donne tradite, una di fronte all’altra, con la camera che ruota attorno ai loro corpi come a indicare il vortice di bugie di cui erano al centro, subito sgonfiato, una scena dopo, da spiegazioni troppo scontate. L’illusione più folle di tutte è quella che Toni, presto scoperto e punito, possa mantenere segreta la verità alle sue amanti. Nonostante il minutaggio ridotto della pellicola, la sceneggiatura (Pappi Corsicato e Luca Infascelli) trova lo spazio anche per un altro piccolo dramma: l’incidente d’auto in cui perde la vita un’innocente, insabbiato dalla ricca famiglia di Chiara. Non siamo davanti a un vero turning point, né l’episodio aggiunge tensione alla parabola in discesa dei personaggi. Per un attimo lo scontro ci fa pensare a Il capitale umano di Paolo Virzì, ma si ha solo l’impressione di una conferma di quanto già detto: non c’è possibilità di sfuggire al proprio destino, i ricchi si salvano sempre e i poveri restano tali.
Alla fine della visione la sensazione è quella di aver visto uno spettacolo di fuochi d’artificio, che ha illuminato il cielo per un po’ con un’esplosione di colori, per poi dissolversi e lasciarci nel buio.
Perfetta illusione di Pappi Corsicato, con Giuseppe Maggio, Margherita Vicario, Sandra Ceccarelli, Carolina Sala, Ruggero Franceschini, Daniela Piperno, Maurizio Donadoni