Le ultime cose primo film di fiction della giovane documentarista torinese Irene Dionisio (il suo lavoro precedente è l’intenso Sponde, sull’amicizia tra lo scultore e postino tunisino…
Le ultime cose primo film di fiction della giovane documentarista torinese Irene Dionisio (il suo lavoro precedente è l’intenso Sponde, sull’amicizia tra lo scultore e postino tunisino Mohsen e il becchino in pensione Vincenzo), era l’unico film italiano in concorso alla Settimana della Critica di Venezia 2016, e racconta un mondo di debitori e creditori all’interno e all’esterno del Banco dei pegni di Torino, la città dell’autrice e sceneggiatrice. Il triste presagio della precarietà e dell’avvicinarsi della fine, il disperato tentativo di far fruttare quei pochi oggetti di valore che sono rimasti, un mondo in crisi dove l’umanità si va perdendo a favore di un bieco materialismo: questo è lo sfondo opaco in cui si muovono i personaggi del film.
C’è Stefano (Francesco Falco), che è appena stato assunto come perito al Banco dei Pegni e Sergio (Roberto De Francesco), il perito esperto che guida le valutazioni e mostra i meccanismi del mestiere; c’è Sandra (Christina Rosamilla), una ragazza transessuale che va a impegnare una pelliccia, regalo di un vecchio amore, e Michele (Alfonso Santagata), un pensionato che finisce nel traffico illegale dei pegni senza sapere più come uscirne. I personaggi e le loro storie, fotografati dalla grande Caroline Champetier (collaboratrice, fra gli altri, di Rivette e Godard) nascono dall’osservazione diretta da parte della regista, di quel luogo, quasi un girone infernale dantesco, il Banco: otto mesi di paziente osservazione, come si addice a una brava autrice di documentari, per ritrarre un breve periodo di vita nel modo più possibile aderente alla realtà.
Ma non è facile far emergere la complessità e le sfaccettature del reale, e così questo mondo (come anche la sua morale) appare qui un po’ semplificato: è un regno in cui esistono buoni e cattivi, poveri disperati e ricchi ingioiellati, poche parole e molti oggetti. D’altra parte, la coscienza dello spettatore è messa a tacere per il fatto che la nostra guida all’interno della storia è Stefano, il giovane, onesto, puro che si indigna davanti alle ingiustizie, come è facile fare anche dalle poltrone della sala cinematografica. Però non sarebbe guastato un po’ di coraggio in più per far esplodere la storia e non restare solo a fissare l’ingiustizia che governa le cose.
Non c’è soluzione e non c’è speranza in questo meccanismo: i personaggi che vogliono e provano a sopravvivere sono costretti a consegnare in pegno le cose più preziose che hanno, siano esse oggetti di valore o principi morali, mentre i vincenti sono biechi sfruttatori senza cuore che acquistano e rivendono le speranze della gente. Un senso di oppressione accentuato dal claustrofobico susseguirsi, nel film, di luoghi chiusi, senza respiro, tanto che anche le scene girate fuori dal Banco dei Pegni appaiono solo come pause “carcerarie” dai minuti contati, in luoghi grigi e loschi. E altrettanto asfissianti sono le riprese mostrate dalle telecamere di sorveglianza, che scandiscono tre momenti importanti di questo racconto corale, quasi una sintesi di inizio, punto di rottura e fine. Qui l’immagine è scarna e oggettiva, e si sente l’inquietudine di venire osservati, di una vita che non è mai tranquilla, in cui si sta sempre facendo o per fare qualcosa di sospetto, immorale, punibile. E in cui tanto alla fine si muore, forse al grido verghiano di “Roba mia, vientene con me!”.
Le ultime cose, di Irene Dionisio, con Fabrizio Falco, Roberto De Francesco, Christina Rosamilia, Alfonso Santagata, Salvatore Cantalupo
Valeria Castaldi