Auguri collettivi da una pattuglia di cultweekers in forma di domanda: qualcosa da portare con sé nell’anno che arriva, qualcosa da buttare. Tra sardine, cieli azzurri, cani e gatti e tanto altro ancora. Suggerimento: fate questo gioco la sera di capodanno…
Un gioco di fine anno. Che ognuno ha interpretato come meglio ha voluto. Una domanda secca: cosa porteresti dell’anno passato in quello che viene e cosa butteresti via. Ecco le risposte di alcuni dei nostri fantastici cultweekers: personali, politiche (ma il personale è politico…), lunghe, brevi, serissime, più scherzose. Tutte belle da leggere. Tutte con la scia che lasciano i pensieri che vale la pena ripensare.
Buon passaggio: che l’anno che arriva sia clemente. E che si porti dietro una cosa, per chi scrive bellissima, dell’anno che se ne va: che le cose si fanno insieme, nelle piazze e nelle vite, e che se c’è una cosa, una sola, da difendere e praticare è proprio questa (a.s.).
Riconciliazione
Una cosa da tenere Berlino, giovedì 25 aprile, presentazione di Bella ciao, che è la versione tedesca del mio Destino. Ripeto: 25 aprile, Berlino, Bella ciao. Coincidenze che, in un romanzo, sarebbero effettacci da quattro soldi, roba che un editor segnerebbe con la matita rossoblù, ma la vita se ne infischia della Letteratura. La sala è piena. Traduzione simultanea, calici di vino rosso, pile di libri. Per loro è un giovedì sera qualunque, la settimana lavorativa quasi finita, un po’ di svago intelligente. Per me è il 25 aprile. Così racconto della Benedicta. Ha il suo bello spazio, nel romanzo. «Il più grande eccidio di partigiani della storia italiana» dico. Entro nei dettagli. Immagino che la traduzione simultanea spari nelle orecchie dei presenti parole come rastrellamento e fossa comune. Intanto io penso Berlino e 25 aprile. Mi trema la voce, ma vado avanti. Alla fine della serata si avvicina un uomo. Intorno ai cinquanta, suppergiù la mia età. «A mio padre sarebbe piaciuto questo incontro» dice. Capisco che il padre è morto. «Era un soldato della Wehrmacht» aggiunge, e io sento tutto il coraggio che gli ci vuole, in un giovedì sera di fine aprile, profumo di fiori e l’aria tiepida di un’estate che arriva anzitempo, per prendere la vita di suo padre e depositarla nelle mani di un’estranea. «Voleva la riconciliazione» conclude. Ha un bell’italiano, dice proprio così: riconciliazione. Pace, dopo tanta guerra. Quella parola me la porto dietro, me la tengo stretta.
Una cosa da lasciare Anche mio padre è morto, a ottobre. E’ stato un anno feroce. Scrivere è un modo per guardare le cose in faccia, stanarle, affrontarle e poi lasciarle andare e io vorrei lasciarlo tutto, questo 2019 senza pietà. Per questo scrivo. Per questo ne scrivo. E allora anche una breve nota, a darle spago, potrebbe diventare una lunga storia di padri perduti e eredità pesanti. O di riconciliazione, chissà. Quando cominci a scrivere, a scrivere onestamente, non sai cosa ti aspetta.
Raffaella Romagnolo
Cani & gatti
Per entrare più leggera nel 2020 butterei le mie due cagne e le mie due gatte. Chi te l’ha fatto fare? Mi chiesero in molti quando due anni fa, tornata a vivere in campagna, pensai bene di aggiungere alle due vecchie gatte due cucciole meticce, sorelle. Così si tengono compagnia, la mia banale risposta. Non pensai, come al solito, alle vere conseguenze: che avrei dovuto tenere invece io compagnia a loro perché, da quando le ho, basta svegliarsi la mattina e decidere oggi vado a farmi un bagno al mare, domani a trovare Alberta a Colle Val d’Elsa o Rita a Peccioli, tra una settimana in Nicaragua a fare il mio lavoro dai Quinchos. Portarsele dietro? Non le conoscete, due selvagge. Beh, così almeno sarai obbligata a farti delle belle passeggiate, commentarono altri. Grazie a una frattura di vertebra (ammetto, non per colpa loro) al guinzaglio non posso tenerle, libere le ritroverebbero a Viareggio (ah, io abito nella campagna lucchese) o rischierebbero di fare la fine dei cinghiali. Così sono imprigionata qui, tutto un apri e chiudi porte per cercare di evitare assalto alle gatte, una si sa arrangiare benissimo da sola, quatta quatta se ne va dove vuole, l’altra è un bradipo spaventato che comincia a miagolare ancora prima di muoversi e parte la rincorsa. Anche tutto un andare su e giù dalle scale: c’è chi vuole uscire, chi vuole entrare, cosa che per la gatta bradipo non è così semplice, passa solo dalla finestra del bagno che da sulla strada. Per l’uscita non c’è problema, ma è diventata talmente grassa che non ce la fa più a saltare per rientrare. La tecnica allora è questa: scendere le scale, aprire la finestra del bagno, uscire io, chiudere a chiave la porta di casa affinché le sorelle non riescano ad aprirla con la zampa, andare in strada, sollevare la gatta fino alla finestra, rientrare in casa, chiudere la finestra. Che cosa mi porterei nel 2020? Loro quattro, altrimenti, data la mia pigrizia, come riuscirei a fare tutto questo movimento? A proposito: le due cagne si chiamano Nica e Raja. Mi ha fatto notare mia figlia che se le chiamo in quest’ordine suona un po’ come Nicaragua. Se credono di imbrogliarmi così, se lo scordino. Nel 2020 mi organizzo e parto. Francesca Caminoli
Jolabokafoo
Capisco che sta rapidamente cambiando la modalità di lettura, che l’e.book assolve felicemente alla sua funzione, che non dobbiamo portarci dietro il peso dei libri quando andiamo in vacanza, che tutto diventa più semplice e veloce, ma…il piacere di regalare e ricevere libri dove lo mettiamo? L’altro giorno una mia amica con compagno e figlio digitalissimi, buona lettrice, al mio ‘Le regalerò un libro’, con faccia seria e compunta mi fa: ‘Ma c’è ancora gente che regala libri?’. Un po’ ci sono rimasta male e un’ombra di passatismo mi ha attraversato il cuore ma mi sono subito ripresa. Sì, voglio regalare libri e riceverne anche nel 2020, voglio andare a vivere in Islanda e nuotare nell’alluvione natalizia di carta stampata; ho scoperto da poco che esiste e che si chiama Jolabokafoo.
Che cosa vorrei lasciare con il 2019? Facile facile, il salvinismo d’accatto che mi ruota intorno e che mi disturba anche fisicamente, il braccialetto al polso dell’adolescente in metropolitana con su scritto ‘Prima gli italiani’ e ‘Sto con Salvini’ (incolpevole fino a prova contraria), il tifo politico con accento siculo-napoletano che da delizioso qual è diventa intollerabile quando fa il verso agli slogan fatti passare per enunciati ecumenici, la moda elettorale del selfie e quella dialettica ben più insidiosa che sposta continuamente il discorso altrove. Basta così, tutto a mare con l’anno vecchio. Lillina D’Orazio
Le sardine, ebbene sì
Mi porterei nel nuovo anno Mattia Sartori e le sardine, per il segnale di vita che hanno dato e fatto dare a molti giovani; non so cosa ne verrà fuori, ma è certo meglio dell’apatia. Lascerei a casa il fatalismo e la rassegnazione con cui ho guardato alla politica italiana. Gabriella Saba
Le due facce del dono
La cosa più bella che mi è capitata nel 2018 è stata l’aver ritrovato, dopo molti e molti anni, due amici di gioventù. Il primo fu anche un amore ai tempi dell’università. Un amore breve e gioioso, come sono (dovrebbero essere?) gli amori dei vent’anni. Il secondo, un tipo affascinante (suonava in una band di successo), era invece il fidanzato di una mia compagna di studi, e quindi per me decisamente off limits. Mi hanno trovata loro su facebook, e quella piccola parentesi di quasi cinquant’anni di lontananza si è dissolta in un attimo. Siamo tornati, in realtà davvero diventati, amici. E questa rinnovata amicizia è il dono ricevuto quest’anno che spero di serbare anche nel prossimo e in quelli a venire. Ma quello stesso dono ha un’altra faccia che vorrei invece cancellare. Sono entrambi malati, i miei amici, e piuttosto gravemente. E allora, se proprio devo scegliere qualcosa che non meriti di essere traghettato nell’anno che verrà, ecco, è la malattia di ciascuno di loro. Irrealistico? Certo, come desiderare che con il 2018 finisca anche l’odio per gli immigrati o la violenza sulle donne. Ma che ve lo dico a fare? Comunque vada, buon anno a tutti noi. Valeria Gandus
Trump, adieu
Mi è molto facile sapere cosa buttare via nel 2020: la presidenza di Trump. Gli Stati Uniti mi hanno accolto con enorme generosità. Mi hanno fatto crescere una persona con principi politici etici molto forti. So bene cosa sono capaci di fare, e di farlo bene: sono capaci di creare un mondo di inclusione per tutti. I servizi per le persone come mio figlio, autistico a basso funzionamento, sono esemplari, gratuiti e indispensabili. Il supporto per mia figlia Sofia, di genere non binario sono concreti: da grande potrà sposarsi chi vuole, adottare chi e quando vuole, senza discriminazioni. Fanno in modo che mia figlia Emma sia l’unica ragazzina bianca in un gruppo stretto di amici neri senza che questo sia un impedimento in alcun modo. Trump, che soddisfa la parte più oscura e terribile di questo Paese, non ne rappresenta in alcun senso la sua parte migliore. Quindi, impeachment o no, se ne deve andare.
Nel 2020 porterei invece la mia opportunità di poter continuare a gestire la mia italianità anche da lontano. La tecnologia, in questo caso, aiuta moltissimo: sono in continuo contatto con la mia famiglia e i miei amici, riesco a mandare avanti una carriera oltreoceano senza troppi intoppi. Malgrado la distanza, sono in grado di sentirmi ancora parte del mio mondo, e questa è una certezza che mi rassicura. Marina Viola
Tra passato e futuro
Sto riordinando casa ed è inevitabile che, anche a non buttarla in politica, i ragionamenti su vecchio e nuovo si impongano: che cosa lasciare e che cosa salvare? Le nostre case sono come le nostre vite, private e pubbliche: piene di cose “irrinunciabili” alle quali a volte sarebbe giusto rinunciare, impregnate di tutti i nostri ieri, con il presente e il futuro che spesso in tanto passato fanno capolino a disagio. Ecco, mettendo ordine tra vecchie stoviglie (c’è anche un servizio per il consommé, mai usato e di un suo imperioso fascino vintage) e aggiunte recenti, il mio sentimento è di fare pace con il passato, di accoglierlo con gratitudine e affetto, di trovargli sempre un posto. Nella casa e nel cuore. Ma il nostro destino si gioca qui ed ora, sempre: e per vivere dobbiamo pensare, anche quando non è vero, anche quando non è certo che sia così, che il presente è il tempo migliore, e che il futuro gli assomiglierà. Roberto Casalini
Cielo di Lombardia
Da Buttare. Lo scrollare. Non si tratta di scrollarsi di dosso tutto l’anno, sto solo parlando della terribile abitudine di “scrollare” le notizie sul cellulare. Tutto il giorno, a tutte le ore per quel che mi riguarda. Di natura a me piace sapere le cose. Fosse per me vorrei conoscere tutto lo scibile umano, vorrei avere le capacità mnemoniche di un elefante o di Pico della Mirandola. Vorrei essere persona informata dei fatti non solo se parliamo dell’ultimo emendamento del governo; anche se si tratta del prezzo dei calzini. Io lo voglio sapere e lo voglio sapere subito. Voglio sapere cosa succede nel mondo, e quindi lo chiedo al cellulare. Certo, in larga parte questa continua necessità di essere imboccata dai feed è dovuta al lavoro, ma ormai l’abitudine è dilagata. Aggiorno le notizie dei siti dei quotidiani anche cinque minuti dopo averli appena consultati. Così come controllo la mail e i social 2000 volte al giorno. Dovesse sfuggirmi qualche cosa! Ecco, vorrei che questa cosa finisse o che almeno riuscissi a limitarla. Ho sempre letto moltissimo, ma una volta leggevo libri, ora non ci riesco quasi più. Se ci penso un attimo in più, adesso piango.
Da tenere. I cieli azzurri. Quelli li terrei sempre. E anche se mi dà pena pensare che sia per colpa del cambiamento climatico, vedere che a Milano, sempre più spesso, i cieli sono di quell’azzurro di cui è fatto il sud, quando l’aria è tersa e lucida e il sole inebria ogni centimetro della pelle, ecco io mi commuovo quasi. E quasi quasi ringrazio sottovoce il surriscaldamento, sperando che Greta non mi senta e soprattutto non mi sentano le nuove generazioni, che devono essere giustamente incazzate con noi vecchi e inutili boomer. Ma io ricordo ancora il primo giorno che misi piede a Milano, quasi quarant’anni fa. Faceva freddissimo, la nebbia si tagliava col coltello. E nonostante, a sprazzi, possa essere d’accordo con chi dice che la nebbia fa più vero il fascino di Milano, datemi ancora molti di quei cieli azzurri contro cui si staglia il neo gotico Museo di Storia Naturale, la neo medievale Torre Velasca o qualsiasi cosa neo che preferite di questa città. A me il cielo azzurro ha riempito l’anno di gioia. Francesca Filiasi
Quant’è bella giovinezza
Cose da portare nel 2020. Non sarò orginale. La gioventù. Non se ne sentiva più parlare se non i termini un po’ patetici, poveri post-millennials scarognati a vivere in questi tempi bui e precari, imbambolati dagli smartphone e poco partecipi, spiaggiati nelle loro camerette. E invece nel 2019 la generazione Z planetaria si è svegliata, merito di tutte le Grete, di poche ma chiare parole. Merito anche delle sardine nostrane un po’ più attempate e “buoniste”, ma attive e contagiose con i loro piedi in movimento e i loro neuroni a specchio iperempatici. Il regalo che ci hanno portato i più giovani è il futuro: non più concetto nebuloso ma dato di fatto tangibile, che sta lì davanti a noi, con la sua moltitudine di giovani faccine arrabbiate (con noi adulti) ma anche per forza di cose piene di speranze, semplici e molto concrete, come per esempio sopravvivere dignitosamente alla catastrofe climatica.
Due cose, futuro e speranza, che scocciano moltissimo a tutti quelli con una visione a breve, impegnati in una corsa frenetica ma di pochi metri verso la prossima scadenza elettorale e che amano di più il maschio confronto con la paura. Senza farla troppo lunga nel 2019 lascerei un po’ tutti gli esponenti dell’arco parlamentare nella loro bolla di anacronismo disfunzionale. Anche quelli “nuovi” che vincono la palma d’oro del tatticismo astruso, capace di inversioni di rotta a scadenza quotidiana, come mai il trasformismo storico ha saputo fare. E non penso solo ai 5 stelle. Per non parlare del populismo stantio a voce urlata che guarda direttamente nelle fosse miasmatiche del passato. E pure quella politica più educata, che si tiene in piedi grazie a rassicuranti liturgie, diciamo pure regole, ma non sa bene quale sia la direzione del futuro: avanti, indietro, a destra o a sinistra? Salvo che il futuro non prenda lui direttamente in mano il timone, come a Milano, col rischio però nella fretta di tirare sotto un rider o lasciare indietro chi non tiene il passo. Paola Rizzi
Ridere, ridere, ridere
Qualcosa da portare nel 2020? Il senso dell’umorismo, guardare fuori invece di guardare solo dentro, guardare una rosa che sboccia, reinventarsi questo ultimo pezzo di vita.Qualcosa da buttare: l’illusione che un libro che hai scritto possa cambiare la tua vita e persino un po’ quella degli altri, la convinzione che tutto sia già stato detto e fatto, l’imbozzzolarsi su se stessa. Nelle domande manca però qualcosa da inventare….Per me: ridere, ridere molto, anche sorridere, ma soprattutto ridere, nonostante i tempi grami. Marina Piazza