Raphael Tobia Vogel firma la regia di un testo in cui due ottimi Pietro Micci ed Elena Lietti sperimentano le forme possibili di un amore e della vita
Le costellazioni esistono soltanto negli occhi di chi guarda. Soltanto la prospettiva dalla quale vengono osservate fa esistere un agglomerato di stelle in gran parte già trascorse nel modo in cui ci piace immaginare e suddividere quello spicchio di cielo. Non c’è titolo più adeguato e lente più utile del suo titolo per decodificare – o piuttosto dare la propria forma all’opera di Nick Payne, in scena al Teatro Franco Parenti.
Come una stella si sviluppa anche l’amore tra Pietro – a cui presta il nome Pietro Micci, ed Elena – Elena Lietti – tra crescite, esplosioni di luce, espansioni incontrollate, esplosioni e contrazioni, che come gli astri restituiscono alla distanza dell’occhio esterno solamente gli ultimi esiti, i più macroscopici, eppure ribollono continuamente, in una vitalità mai lineare o uguale a se stessa. Quello che è degli uomini e non dei corpi celesti, tuttavia, è la volontà, la prospettiva, appunto.
Ma cosa accade al loro interno da dove lo sguardo non arriva? Quante forme possono mutare lontano dai nostri occhi? In quanti modi può variare, spezzarsi e ricomporsi una conversazione? Intorno a questa domanda lo spettacolo e il rapporto tra Elena e Pietro vive e ribolle, solo apparentemente frantumato, nei suoi ritorni su se stesso, nei salti temporali e tematici. Si agglutina, anch’esso, intorno a nuclei incandescenti, i topoi che ci fanno umani: innamoramento, tradimento, abbandono, riconciliazione, malattia, amore, morte.
Come il disegno delle costellazioni, a congiungerli sono tutte le traiettorie possibili di un incontro, tutte le varianti, le infinite rette che possono passare da un punto. Costellazioni è uno spettacolo che ritrova e nobilita il teatro di parola, calandolo nel presente, il tempo dei multiversi, quello in cui abbiamo capito che lo spazio può essere una scelta e così – tra il suo inizio e la sua fine – il tempo di una vita. Infatti Nel multiverso ogni scelta che prendiamo o non prendiamo esiste in un numero incommensurabile di universi paralleli. Pietro ed Elena vivono e ri-vivono un numero potenzialmente infinito di volte, costruiscono e de-costruiscono la loro realtà.
Così la regia visivamente ammaliante di Raphael Tobia Vogel ridisegna la sala del teatro perché ciò che accade in un quadrato segnato dal neon come in un videogioco sia osservabile, specularmente, in modo identico eppure individuale, da entrambi i lati. La luce diventa così l’elemento più materico dell’intera messa in scena, mentre colonne di luce trasportano concretamente a terra la traiettoria delle stelle, segnando gabbie di luce da cui i protagonisti sono avvolti, nascosti, imprigionati, colpiti ed sottolineati.
Una resa scenica di grande impatto che offre agli attori quella solidità che le parole non offrono, portandoli a una notevole prova d’attori che possono reggere soltanto l’uno sull’altra, e dalla quale emergono miscelando con maestria i registri nel volgere di pochissimi istanti, dando forma a tutte le possibili articolazioni di futuro e presente. Infatti se tutti i futuri fossero possibili, sarebbero le nostre scelte a determinare in quale finiremmo per vivere.
Cos’è allora, la vita? L’evoluzione predeterminata di una stella, o – come suggerisce Elena che studia i quanti e i loro segreti – particelle governate da leggi molto specifiche che di noi fanno quello che gli pare, o il prodotto di scelte e immaginazioni, persino di una illusione nella quale, se ci riuscisse qualcosa di meccanicamente impossibile, ne avremmo in premio il segreto dell’immortalità?
Uno spettacolo cui non serve altro che un ottimo gruppo di lavoro per parlare di sentimenti, di scienza e libero arbitrio senza stucchevolezze, ma forse, ancora di più, di raccontare se stesso. Ciò è il teatro, lo spazio per eccellenza dove ogni universo parallelo prende corpo davanti agli occhi di chi guarda e può essere immaginato, costruito e riprendere la forma che più ci aggrada.
Siamo noi, in fondo, a scegliere – nella combinazione delle possibilità – quale portarci a casa. Hanno provato a farlo le serie tv, ci proverà – con le sue illimitate risorse – chi sta provando a praticare davvero il multiverso. Ma soltanto il teatro ci riesce da sempre. Le sale che tornano a riempirsi sono lì a testimoniarlo.