Crimini, utopie, morti innocenti: sa un po’ di Brecht la “grande guerra” di Amelio

In Cinema

Il suo ultimo “Campo di battaglia” è ambientato nel 1918, l’anno della vittoria bellica e dell’inizio della tragica influenza “spagnola” che fece decine di milioni di morti. Ma pur avendo per protagonisti un ufficiale spietato, un soldato più umano e l’infermiera di cui entrambi s’innamorano, il regista di “Hammamet” non ha girato un film realistico. Anzi, un amaro apologo sul cinico gioco della guerra e il destino segnato delle vittime. Ottimo cast con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi, Federica Rosellini

No, non credo che sulle zolle di terra arsa dalla Prima Guerra Mondiale, torneranno i prati, come sperava il caro Ermanno Olmi nel suo ultimo, bellissimo film girato vicino alla casa di Asiago. Almeno a giudicare dal molto vibrante e originale film di guerra senza guerra di Gianni Amelio Campo di battaglia, proiettato a Venezia ed ora nelle sale. A parte l’inizio stravolgente con un mucchio di cadaveri da cui si erge una mano viva, il film si svolge tutto in interni: niente fronte occidentale, ma un ospedale militare dalle parti trentine dove arrivano i feriti di guerra.

E qui, rispettando lo schema del regista che insinua non essere un film realistico, ecco che si mettono in moto le tre pedine del cinico gioco della guerra: siamo nel 1918, l’anno della vittoria, come virgoletta l’amarezza dell’autore che ci spiega come ogni guerra, ieri come oggi, sia sempre contro i poveri, gli umili, gli indifesi. Ci sono pochi film sul primo conflitto mondiale, e qua e là sentiamo quasi una vicinanza al Monicelli della Grande guerra, per come vediamo i soldati dei vari paesi con i diversi dialetti, alcuni sottotitolati: e, come gli altri, anche il film di Amelio è la storia di una carneficina che ha aperto la strada al peggio.

I tre lati del triangolo sono: il capitano Stefano, che è tutto d’un pezzo, pronto a medaglie e cariche politiche, e non vede l’ora di rispedire i feriti al fronte, anche se ancora claudicanti e fragili; il tenente veneto Giulio che invece è fatto di altra pasta, cerca di aiutare quei poveretti, aggravando le ferite e anche operando in modo da peggiorare la situazione e rispedirli a casa, magari senza un occhio. Due colpe, due misure, due morali. Una prima lezione è la fucilazione di un prigioniero che ha a bella posta peggiorato le sue condizioni (venivano chiamati “scemi di guerra”). Il resto è dubbio perenne. Amelio racconta il putiferio fisico e psicologico di quelle carni e animi feriti, di quegli occhi disperati, di quelle parole dialettali che rimbalzano a volte incomprensibili tra le quattro mura sporche dell’ospedale, a significare che comunque la guerra è un non sense, una ingiustizia collettiva.

E interviene alla fine la punizione biblica dell’influenza detta la spagnola, con 20 milioni di vittime tra il 1918 e il 1921: non si può non pensare al Covid. Ma in mezzo ai due soldati, uno borghese l’altro più proletario, appassionato biologo e ricercatore detto “la mano santa”, che agiscono nel teatro di guerra, tra le bende e le bare, s’inserisce una terza figura, l’infermiera Anna, amata da entrambi gli uomini, la cui carriera medica è stata bloccata dal fatto di essere una donna e quindi automaticamente una crocerossina.

Con attori bravissimi (Alessandro Borghi dimagrito di 12 chili, Gabriel Montesi e Federica Rosellini, nota a chi frequenta il Piccolo Teatro a Milano) che, con un certo distacco quasi brechtiano, sanno esprimere anche i moti invisibili dell’anima e le contraddizioni del potere, Amelio, partendo dal libro di Carlo Patriarca La sfida (Neri Pozza editore) organizza una storia horror di paure attualissime, raccontando sia l’orgoglio maledetto di chi vuole consumare le vite al fronte e di chi con l’inganno vorrebbe salvarle, queste vite. E anche se questo film è molto diverso da Hammamet e dal Signore delle formiche, i suoi due ultimi titoli, il giovane 79enne Amelio continua i suoi tasselli sulle molte e diversificate ingiustizie della Storia.

Non un film di guerra ma sulla guerra, dice l’autore, che insiste sulla definizione non di film realistico ma di apologo utopistico perchè tutto va in una sola direzione, le vittime sono sempre gli innocenti e i morti del conflitto Amelio li lascia dietro le quinte. Lì dove vaga la nostra immaginazione, certo ferita a morte da questo film, che si svolge nel 1918 ma certo si nutre di emozioni e disperazioni contemporanee, dei tiggì di oggi che ci fanno seguire le operazioni, i crimini e le disfatte in diretta, coltivando dubbi e insicurezze che partono da un comune certificato anti bellico.

Campo di battaglia, di Gianni Amelio, con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi, Federica Rosellini, Giovanni Scotti, Vince Vivenzio, Alberto Cracco, Luca Lazzareschi, Maria-Grazia Plos, Rita Bosello, Melania Mennea

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