Il tempo si è fermato nel porto di Trieste: uno spettacolo che tratta dell’attuale tema dell’immigrazione rovistando nella cronaca quasi dimenticata del Novecento
«Il Magazzino 18 è un luogo dove riposano, non in pace, migliaia di oggetti». Ci sono sedie, chitarre scordate, lettere, valigie e stoviglie ancora avvolte negli imballaggi. Tra le mura di questo edificio, che si affaccia sul Porto Vecchio di Trieste, il tempo si è fermato sessantasette anni fa: nel rigido inverno del ’47. Fu in quell’anno che migliaia di italiani cominciarono a raccogliere i loro oggetti più cari in pesanti cassoni di legno e a spedirli con la speranza di riuscire, un giorno, a recuperarli. Chi erano queste persone? È Simone Cristicchi a essersi caricato sulle spalle il peso della loro memoria. Il cantautore, in scena al Carcano fino al 7 dicembre, ha scelto il teatro per raccontare il dramma dell’esodo istriano.
Sullo schermo, che si trova sul fondo del palco, scorrono immagini d’epoca: uomini e donne, vecchi e bambini s’imbarcano sul piroscafo “Toscana”. Sono i profughi di Pola, capoluogo dell’Istria, cacciati da una terra perché italiani e accolti in patria come stranieri. Un destino di migrazione forzata, questo, che è toccato anche agli abitanti di Fiume, Zara, Pisino e di tutte le città dell’Istria che, dopo il trattato di pace firmato nel 1947, sono diventate terre della Jugoslavia di Tito.
Mescolando la sua sensibilità artistica a un approfondito percorso di ricerca, Cristicchi è riuscito a riportare a galla una pagina sommersa della nostra storia. Soffocata da strumentalizzazioni politiche e vittima dell’oblio collettivo, la diaspora del popolo giuliano dalmata è rimasta a lungo tempo taciuta: solo la forza mimetica del teatro, ora, può restituire alle vittime il diritto a essere ricordate.
In questo spettacolo, la fredda cronaca degli eventi storici cede il passo alle umili testimonianze. Sulla scena, trovano spazio gli oggetti della quotidianità. Il tono dell’attore è pacato e coinvolto, mai solenne. Il risultato è di rara efficacia. Le musiche, che sono valse a Magazzino 18 il premio Le maschere del Teatro Italiano per il 2014, accompagnano gli spettatori nel processo d’immedesimazione che li porta a calarsi nei panni degli uomini che hanno abitato quelle ‹‹terre fragili››. Per un momento, sembra di poterne afferrare la struggente sofferenza: quella del popolo istriano e quella di tutti i profughi del mondo.