Vanessa Kirby è l’eccellente protagonista, premiata alla Mostra di Venezia, di “Pieces of a Woman” dell’ungherese Kornél Mandruczó, la cui prima mezz’ora, durissima, racconta un parto che finisce tragicamente. Alla giovane coppia, intenta a dilaniarsi nell’atrocità del dolore, solo il tempo regalerà una possibile salvezza. Ritratto femminile struggente, ottimo cast con Shia Lebeouf e Ellen Burstyn
Martha (Vanessa Kirby) sta per partorire e ha deciso di far nascere sua figlia in casa. Una scelta di libertà, anticonvenzionale ma neanche troppo, contrastata da sua madre (Ellen Burstyn) ma amorevolmente condivisa da suo marito Sean (Shia Labeouf). Purtroppo c’è un piccolo intoppo: l’ostetrica di fiducia di Martha non riesce ad arrivare in tempo e manda una sostituta, una gentile sconosciuta di cui la protagonista forse non si fida del tutto. E il parto si rivela da subito più complicato del previsto. Forse in un ospedale sarebbe stato facile correre ai ripari, nella camera da letto di un appartamento di Boston l’unico strumento medico a disposizione consente di ascoltare il battito del piccolo cuore della bambina, ma non di intervenire in qualche modo. Quando finalmente viene chiamata un’ambulanza è troppo tardi, la tragedia si è già consumata.
Dura mezz’ora la prima parte di Pieces of a Woman di Kornél Mandruczó – si può vederlo su Netflix – ed è straziante, costruita com’è come una sorta di cronaca di una morte annunciata. La morte di una bambina appena nata, la morte di un amore che non riuscirà a sopravvivere all’urto di una simile disgrazia. Il resto del film si dipana come un giallo dei sentimenti, dove assistiamo al progressivo sgretolarsi della coppia e dei due individui che la compongono. Un uomo e una donna che forse erano pronti a diventare una famiglia, a costruire un nido per quella nuova vita che avevano immaginato, ma non si rivelano affatto in grado di dare un senso al vuoto, alla necessità di ricostruire la propria identità a partire da un lutto atroce e apparentemente inspiegabile. Proprio per questo bisogna cercare a ogni costo un colpevole, pretendere un processo, portare il dolore in un’aula di tribunale, nella vana speranza che sia questa la possibile strada per andare avanti, per elaborare la mancanza e ritrovare la fiducia nel futuro.
I lunghi piani sequenza che costruiscono con dolorosa pazienza la prima mezz’ora del film lasciano il posto a un montaggio più nervoso: frammenti di pungente infelicità, scene di (ormai) impossibile vita coniugale, accuse e controaccuse, tradimenti, confronti e scontri. La vita continua ma si avvita in un dolore indicibile, esplode in tante schegge acuminate, e non trova un senso che non sia il rabbioso e vano tentativo di trovare un capro espiatorio. A garantire infine il cambiamento, e una possibile salvezza, è in conclusione solo il lento, inesorabile trascorrere delle stagioni: dai sensi addormentati dell’autunno al ghiaccio feroce dell’inverno, alla primavera che tutto sferza e travolge con la sua energia fatta di rabbia e vento, fino alla calma dell’estate, turgida di foglie e frutti, e di nuove speranze.
All’ultimo Festival di Venezia, Vanessa Kirby (che ricorderete nei panni della giovane principessa Margaret nella serie The Crown) ha vinto la Coppa Volpi come miglior attrice, mettendo in scena con grande convinzione un’esperienza realmente vissuta dal regista ungherese Kornél Mandruczó (già autore dei bizzarri ma interessanti White dog e Una luna chiamata Europa) e dalla sua compagna Kata Wéber, sceneggiatrice del film. Un ritratto femminile dolente e sincero, a tratti struggente, che ci lascia nella mente l’immagine del dolore come un deserto da attraversare, senza acqua né riparo, un passo dopo l’altro, guidati solo dall’ostinata perseveranza della vita che continua, nonostante tutto.
Pieces of a Woman di Kornél Mandruczó, con Vanessa Kirby, Shia Labeouf, Ellen Burstyn, Iliza Shlesinger, Benny Safdie, Sarah Snook, Molly Parker.