Ci sono libri che ci aspettano, che avremmo potuto leggere assai prima e dei quali una lettura matura fa cogliere sfumature diverse. Come il prezioso ‘Diario partigiano’ di Ada Gobetti, uscito nel 1956
Il Diario Partigiano di Ada Gobetti è uno di quei libri che ti lasciano con un interrogativo irrisolto. Devo rammaricarmi per averlo letto solo ora, privandomi della possibilità di riprenderlo in mano mille volte a distanza di mesi o di anni, e di assaporarne ogni volta sfumature nuove (ormai, incalzata dal passare del tempo, ho più la frenesia di leggere ciò che non ho mai letto, di colmare lacune)? Oppure devo rallegrarmi di averlo fatto con la consapevolezza della maturità, che mi ha permesso di coglierne subito le caratteristiche particolari, rare, preziose?
In gioventù probabilmente mi sarei esaltata per le azioni eroiche descritte nel diario, che sì è proprio un diario, nato dagli appunti presi quotidianamente e custoditi con sprezzo del pericolo. Ada era (o meglio è, perché certe persone paiono immortali) una donna coraggiosissima, spesso al di là del limite dell’incoscienza pura, capace di imprese così incredibili da parere quasi buffe. Avrei certamente ammirato l’amore per la libertà di Ada, il suo essere così pragmatica, così autonoma nel pensiero, così capace di intessere rapporti di collaborazione con donne di orientamento politico ed estrazione sociale diversissime. Ma non avrei credo colto in pieno la straordinaria esperienza di una madre che in Val Susa partecipa alla Resistenza al fianco – proprio al fianco, in senso fisico – di un figlio appena diciottenne, quel Paolo che gli antifascisti ricordano come un piccolo terremoto e adesso è diventato un partigiano di Giustizia e Libertà, indomabile e con l’istinto del capo.
Paolo è figlio di Piero Gobetti, morto in esilio in Francia. Ada è rimasta vedova nel 1926 con un bambino piccolissimo, e molto ha faticato per uscire dalle tenebre del dolore, e l’idea della perdita sembra non lasciarla mai. Quando Paolo si allontana per qualche missione nelle valli contigue, Ada trema, anche se mai si azzarderebbe a frenare l’azione del figlio, perché sente che c’è un bene comune perfino più importante del suo tumultuoso amore materno: soffre in silenzio, ammutolita dal terrore.
E tra le armi e gli esplosivi noi ci inteneriamo con questa madre che riesce a vedere nel figlio l’eroico combattente ma anche il ragazzino che ha paura dei dottori e geme quando gli devono fare un’iniezione. È una donna spiritosa, che percepisce e non nasconde certe sue piccole deliziose fisime borghesi, da signora di Torino – alla vigilia di un rocambolesco rientro in Italia, con una marcia massacrante nella neve, ha la tentazione di mettersi a pulire un lavandino, perché il vederlo sporco la disgusta.
Il suo racconto è intessuto di aneddoti a volte tragici e a volte molto divertenti, come quello di Paolo alle prese con una pecora cocciutissima che non ne vuole sapere (come darle torto) di raggiungere i partigiani che poi se la mangeranno: una storia che sappiamo piacque moltissimo a Benedetto Croce, che di Ada era amico e mentore, e la incoraggiò a scrivere questo libro, uscito nel 1956. Con madre e figlio c’è anche Ettore, il secondo marito di Ada: un amico di famiglia, un uomo solido e tranquillo, una presenza importante e benefica ma in sordina – chissà se ne aveva sofferto, leggendo il Diario. Spero di no, perché questa cosa un po’ mi ha colpita.
Un’altra caratteristica preziosa di queste memorie è quella dell’acume psicologico, dell’attenzione alle sfumature del pensiero e al dolore altrui – conosciamo, dalle pagine di Primo Levi, il martirio di Sandro Delmastro (anche lui partigiano di Giustizia e Libertà), ma è Ada a raccontarci dello strazio di Ester Valabrega, la fidanzata di Sandro, che nel giorno della Liberazione non riesce a gioire con il trasporto degli altri. E acuta è anche quando racconta dei rapporti tra le varie formazioni e le forze politiche nel CLN: rifuggendo l’agiografia, rileva con ironia mai maligna le debolezze dell’animo umano quando ci sono di mezzo un po’ di prestigio e un po’ di potere.
Ho insomma avuto la sensazione di avere sotto gli occhi un testo fondamentale per la storia della Resistenza, e che forse è stato letto meno di quanto non meriti. Fatelo, se già non lo avete fatto, e credo che ne sarete felici.