Una antologia dell’occulto può essere tante cose: un viaggio nell’immaginario, un campione di paure profonde, uno specchio dei tempi. Quella messa insieme da Blackie edizioni è una sorta di avamposto per recuperare la memoria di una generazione di scrittrici che ebbero grandissimo successo e non abbandonarono mai il gusto per l’immaginario fantastico. Anche perché nulla insegna meglio di un racconto di fantasmi che la paura non fa distinzioni di genere. Undici autrici vittoriane, e una piccola coda di scrittrici italiane per un sorprendente atlante minimo dello spavento: piacevole, prezioso. E godibilissimo.
Dalle apparizioni notturne di Napoleone imperatore, gravato da un incolmabile senso di colpa, agli scherzi maligni inflitti per vendetta dall’anima di un bambino ”che gli uomini hanno torturato e ucciso come un uomo”. E poi mogli che si presentano per un estremo saluto, ragazze che precipitano, bambine che appaiono nella neve, voci narranti che assolutamente affermano di non credere allo spiritismo, però…
C’è tutto quello che serve all’immaginazione per farsi quattro passi in piena età vittoriana, dentro l’antologia Dark Ladies, pubblicata da Blackie edizioni: anime tormentate, richiami sussurrati, invocazioni tenebrose, viottoli solitari, case di campagna, brughiera desolata, stanze chiuse, organi che suonano: undici scrittrici di lingua inglese firmano altrettante storie di fantasmi (genere nel quale furono non soltanto esperte, ma anche acclamate) e costituiscono un ideale atlante dell’occulto tra il 1830 e il 1900.
A leggerne i nomi, tolte rare eccezioni, viene legittimamente da chiedersi dove sia finita, in un paio di secoli, la memoria di tanta avventurosa e caparbia letteratura. Quasi una rimozione in blocco, tolte rare eccezioni come il caso di Charlotte Brontë, o di Vernon Lee (protagonista proprio ultimamente di un fortunoso ripescaggio editoriale).
Se pensiamo che le autrici incluse in questa antologia divennero famose per i loro romanzi d’ambiente, ma seppero anche prestare orecchio ai movimenti letterari a loro contemporanei, e mantennero comunque, nel frattempo, la capacità di immaginare e scrivere in tutt’altra tonalità, risulta evidente quanto la dimensione del fantastico fu per loro come una sorta di doppia identità, cui non rinunciarono mai.
Perché una cosa è certa: quello che fa il racconto di immaginazione è – sempre – trovare un modo per parlare anche di ciò di cui non si parla (tanto più nella benpensante morale borghese del tempo).
E così ecco, in controluce rispetto alle storie che vengono narrate, temi di rara spinosità: violenze, sopraffazioni, crudeltà in varianti raffinate, concorsi di colpa, umanità soffocata. Non sono (soltanto) racconti di scrittrici vittoriane che vi faranno morire di paura: sono, incursioni nei timori più profondi, nel lato oscuro di una intera società.
Sorprende il coraggio di queste scrittrici, sorprende l’abilità, sorprende la volontà di prendere parola partendo da un punto di vista – quello di donne, e di donne in un’epoca in cui la differenza di genere trovò fondazioni ancora più profonde – sicuramente scentrato rispetto ai fulcri del potere sociale e politico.
Lo sottolinea, in apertura, anche la nota introduttiva:
“(…) le loro storie di fantasmi infrangono il mito del perfetto uomo vittoriano. Figura autoritaria e simbolo della ragione, l’uomo vede traballare tutte le certezze del suo mondo quando nella sua vita appare uno spettro.
È per questo che le autrici optano per protagonisti maschili, perché in una società in cui le donne soffrivano regolarmente di isteria e svenivano di continuo, solo un uomo poteva dare credibilità ai fantasmi delle storie. Queste apparizioni non solo minano la condizione patriarcale e borghese dei protagonisti, ma gli uomini, una volta così ragionevoli e affidabili, assumono quegli atteggiamenti nervosi e disperati che all’epoca erano considerati tipici delle donne”
Non è secondaria, allora, la scelta operata dalla casa editrice di far seguire ad ogni racconto una breve scheda biografica delle autrici; ciascuna, a proprio modo, si trovò a dover fare i conti con la questione dell’emancipazione femminile e della “nuova” donna dell’età del progresso e molte furono, in prima persona, protagoniste delle lotte per l’acquisizione del diritto di voto.
La galleria delle loro vite è per molti aspetti sorprendente: per le relazioni intercorse con scrittori e artisti (Charles Dickens, per esempio, ma anche il circolo dei Preraffaelliti, Le Fanu, Henry James, D.H.Lawrence, Joseph Conrad, Rebecca West), per la precocità con cui giunsero a pubblicare (ben sotto i vent’anni), per la curiosità con cui gestirono lavori e passioni (dal giornalismo all’egittologia all’alpinismo) e, non ultima, per la volontà di non cancellarsi sessualmente nella propria identità. Ne esce un quadro tutt’altro che arrendevole, cui vale la pena dare nome e cognome.
Nell’antologia sono presenti i racconti di Charlotte Brontë, Elizabeth Gaskell, Dinah M. Mulock Craik, Rosa Mulholland, Amelia B. Edwards, Rhoda Broughton, Vernon Lee (alias Violet Paget), Louisa Baldwin, Violet Hunt, Gertrude Atherton, Willa Cather, con l’aggiunta di tre autrici italiane: Luisa Saredo, Matilde Serao e Grazia Deledda.