Due matricole di medicina in difficoltà per il super studio e in crisi di identità per il futuro sono al centro de “Il primo anno” di Thomas Lilti (“Il medico di campagna”). Che riflette su difficoltà e pressioni cui sono sottoposti gli studenti nell’università di oggi, ponendo la classica domanda: fin dove si è disposti a spingersi, anche rischiando la salute, per raggiungere i propri obiettivi?
Settembre, il mese dei ritorni. A scuola, al lavoro, a casa dopo le vacanze. Per gli studenti universitari, almeno in Italia, è anche l’inizio della tanto temuta “sessione autunnale”, il brutale rientro nelle fredde aule di facoltà accolti da professori pronti a ripartire a mille su tutti gli argomenti. Tanto sudore e lacrime, ma alla fine la maggior parte ne esce vincitore. Settembre, infine, rappresenta l’inizio della vita universitaria dopo il liceo, le ultime vacanze “senza dover studiare nulla”. Le matricole entrano speranzose in un grande edificio dove la porta sembra sussurrare “lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Ecco, quali speranze? Quali aspettative? Per molti studenti l’Università è preferibile al liceo perché si decide cosa studiare, soprattutto chi si vuol diventare in termini di professione, scelte di vita. Ma per entrare in alcune facoltà bisogna superare test difficili, che spaziano dalla chimica alla matematica, passando per la biologia e le scienze umane. Per anni le richieste per entrare a Medicina, in Italia, raggiungevano il mezzo milione a fronte di 200mila posti disponibili su tutto il territorio. Chi non passava, poteva provare con Fisioterapia o Ortodonzia, ma non era la stessa cosa.
Che fa dunque lo studente medio che vuol diventare medico da quando aveva quattro anni? Si butta a capofitto nello studio e ripassa fino allo svenimento rischiando di avere crisi nervose. A prima vista può sembrare un comportamento eccessivo, ma bisognerebbe porsi una domanda, prima di giudicarlo: è veramente esagerato in sé o è il sistema che lo richiede?
È questa la sottile linea conduttrice di Il primo anno, il nuovo film di Thomas Lilti, uscito in Francia nel 2018 e in arrivo ora in Italia. Ne sono protagonisti due ragazzi: Antoine e Benjamin, che vorrebbero studiare medicina, il primo un po’ più convinto del secondo. Antoine deve fare il primo anno per la terza volta, mentre Benjamin ha appena concluso il liceo. Ovvero ha appena sostenuto i Bac, gli esami finali francesi che a confronto la maturità italiana è una passeggiata. Insomma, sono tutti e due studenti non alle prime armi e allo stesso tempo molto agguerriti (pure troppo).
Ma fin da subito vengono spinti in un mondo fatto di competizione, incomprensioni, follie, sessioni di studio massacranti, una sfilza di esami e tante ore in biblioteca. Si ripete più volte una scena iconica per chiunque abbia fatto l’Università: lasciare la mensa universitaria dopo il personale di servizio che ha finito di pulire tutto. La trama del film è molto semplice: i due devono fare un esame per capire se possono entrare a Medicina oppure no. I posti sono limitati (329), le persone a fare l’esame 2500. In Francia si va in ordine di punteggio: chi prima arriva, prima può scegliere, e quando i posti finiscono e si decide di rinunciare, si dovrà rifare l’esame l’anno dopo.
I due amici studiano tutti i giorni insieme, ma Benjamin sembra essere più bravo nonostante non abbia approcciato i temi in questione la stessa quantità di volte di Antoine. Dopo varie vicissitudini, tutto si conclude con un’epica scena finale, che è un po’ il simbolo di come le cose non dovrebbero andare ma vanno lo stesso, perché l’amicizia viene prima di tutto, spesso anche del proprio futuro.
Il film ci pone davanti a questioni fondamentali: il valore delle istituzioni in quanto tali, la pressione che viene imposta agli studenti, quanto siano effettivamente importanti gli esami e la durezza con cui vengono giudicati gli studenti stessi. Infine, la più importante di tutte: quanto si è pronti a spingersi in là per ottenere un obiettivo? Si è disposti a rischiare la propria vita o comunque la salute per farlo? Per rispondere si potrebbe iniziare a dire che se a neanche vent’anni tutta la vita di una persona è decisa da una graduatoria, vuol dire che qualcosa nel sistema va dalla parte sbagliata. Chi sarà più bravo come medico? Quello che ha una passione tale da ripetere l’anno finché non riesce a superare il test per il secondo o chi memorizza tutto e non prova nessun gusto in quello che fa ma è comunque bravo?
Non è il primo film di Lilti a a tema medicina (Ippocrate, 2014, Il medico di campagna 2016 con Francois Cluzet), ma è il primo che ne studia i risvolti mentali più profondi, partendo dal basso, dagli inizi. Sicuramente da vedere: nella sua semplicità di trama fa riflettere su un intero sistema che si vorrebbe rovesciare ma è talmente affermato che alla fine non si prova neanche a farlo.
Il primo anno, di Thomas Lilti, con Vincent Lacoste, William Lebghil, Michel Lerousseau, Darina Al Joundi, Benoit Di Marco