Dopo quasi trent’anni dalla mostra De Pisis a Milano, Palazzo Reale torna a occuparsi dell’artista ferrarese con una intensa mostra curata da Pier Giovanni Castagnoli.
De Pisis dipinse più di 3000 quadri e un’infinità di disegni. La sua produzione è, anche per questo motivo, molto disuguale cosa che lo ha ridimensionato in un ruolo ingiustamente minore. La scelta del curatore si è invece orientata in una selezione di un centinaio di opere di altissima qualità e rende giustizia a quello che è stato davvero uno dei maggiori artisti italiani del primo Novecento.
De Pisis prima che pittore era scrittore e poeta e grande amante e conoscitore della natura. Raccoglieva esemplari della flora, di cui conosceva il nome latino e tutte le caratteristiche morfologiche: suoi erbari sono adesso nelle collezioni dell’Università di Ferrara.
A vederla così sarebbe potuto diventare il classico intellettuale di provincia di cui era, nel 900, orgogliosamente piena l’Italia. E forse il suo destino – e quello dell’arte italiana del Novecento – sarebbe stato questo se non si fosse materializzata una circostanza particolare: fu Parigi, o meglio la Metafisica, che andò a Ferrara. Nel 1916 vi si trovano Giorgio De Chirico (di cui Palazzo Reale ospita attualmente una mostra) e il fratello Andrea, in arte Alberto Savinio. E l’anno successivo anche Carrà svolge il servizio militare in città.
Ed è proprio il giovane De Pisis a svelare ai De Chirico l’aspetto metafisico di Ferrara. Sono anni cruciali per la pittura di Giorgio De Chirico, forse i suoi più importanti. E De Pisis quindi “naturalmente” diventa un pittore metafisico. Ed è da queste prime prove che la mostra parte.
Ma più che nello stile il pittore ferrarese è metafisico nello spirito. Scriverà nel 1938: “Resta chiaro, ci pare, per chi sia in buona fede, che la metafisica (poesia in altre parole) che si sprigiona in un’opera d’arte non si riferisce solo alle forme più o meno astratte in cui essa è composta, ma allo spirito che la informa. Una pittura davvero bella (e non lo può essere se non ha un minimo di nobiltà intrinseca) sempre sconfina verso l’al di là. La metafisica è fatta spesso più di semplicità, chiarezza, sonorità e palpito che di ricerca e di aridità”.
Nel 1919 è a Roma. Anton Giulio Bragaglia organizza una sua mostra (di scarso successo) e pubblica La città delle 100 meraviglie, dedicata a Ferrara. Sono anni fecondi, De Pisis può confrontarsi con i grandi classici e, soprattutto, scopre la bellezza della natura morta barocca. Perché è proprio la pittura delle nature morte una delle cifre fondamentali dell’arte del ferrarese. E lo spirito metafisico domina le sue nature morte “marine” in cui oggetti classicamente da studio sono ambientati in paesaggi marini in cui spesso una sottile striscia del mare, i navigli, gli uccelli sullo sfondo creano un ritmo straniante nella lettura del quadro.
Nel 1925 è a Parigi che sarà, per i successivi 15 anni, la sua città d’adozione. Vi ritrova De Chirico che lo introduce nel cuore dell’attività artistica di quella che è la capitale assoluta dell’arte. De Pisis si innamora della città e Parigi ricambia con riconoscenza. È qui che si consacra la sua attività artistica. Espone con successo, scopre la pittura en plein air, scopre soprattutto la realtà metropolitana: le strade, la gente. Continua con le sue nature morte ma comincia a dipingere anche ciò che lo circonda, la città.
Diventa – lo afferma il critico Francesco Arcangeli – il più grande vedutista del Novecento. E un grande ritrattista. Nella libertà della Ville Lumière incontra i ragazzi che saranno uno dei temi più cari della sua pittura. In mostra il Giovane marinaio parigino e Il moro di Harleem sono tra i dipinti più belli. Ma Parigi è fondamentale anche per capire la qualità dell’artista ferrarese: il suo modo di dipingere cambia, la tavolozza si fa più chiara e contrastata, in qualche modo sembra come se abbandoni ogni stile per diventare un pittore assoluto. Ma la sua cifra inconfondibile rimane intatta. Parigi lo influenza ma non lo cambia. Le vedute di città: Parigi, Londra, dove si trasferisce per alcuni mesi tra il 1935 e 1936 – e lavorerà nello studio di Vanessa Bell, la sorella di Virginia Woolf – ma anche Milano, Venezia, Cortina che visita durante le estati – sono di una bellezza incomparabile.
Nel 1939 allo scoppio della guerra ritorna in Italia e si stabilisce a Milano. Anche qui si trova – in via Rugabella, una traversa di Corso di Porta Romana abitata da artisti e intellettuali – in un contesto estremamente fecondo. Nel 1943 però il suo studio viene bombardato e decide di trasferirsi a Venezia. Città amata che nel 1949 gli dedicherà una sala alla Biennale.
Dal 1948 De Pisis comincia a soffrire di disturbi nervosi. Cerca sollievo facendo ritorno a Parigi ma, sebbene ormai famoso e riconosciuto, non riesce a riallacciare i rapporti di prima della guerra. Parigi è cambiata, profondamente ferita dalle vicende belliche e anche De Pisis ha subito profondi mutamenti. Nel 1951 si ricovera a Villa Fiorita a Brugherio, un manicomio.
Come era successo con Van Gogh il primario dell’ospedale gli consente di continuare a dipingere in un ambiente della serra dell’ospedale. La sua pittura cambia ancora, si fa più rapida, essenziale. È di questo periodo uno scritto rivelatore del contenuto del suo essere artista: “[…] Alcune mie opere non sono che una specie di canovaccio di mie poesie. Volutamente ho cercato di non travisare il sottinteso di melanconie fatali in questo periodo di lotte e di incontentabilità, che spesso è una specie di commento musicale alle forme, l’ombra di una nuvola, un velo, una tela di ragno”.
Anche i dipinti del suo ultimo periodo sono bellissimi, struggenti.
Scrive ancora: “Poesia e delicatezza hanno a V.F. (la sigla che indica Villa Fiorita e che talvolta compare anche nei suoi lavori) uno statuto nuovo. Ora sono come se…”.
La mostra finisce ma suggerisco di fare una puntata alla pinacoteca di Brera. Vi si trova il dipinto Natura morta con la penna. Uno dei suoi ultimi dipinti. Bellissimo, è una specie di testamento: i colori quasi scomparsi a favore di un grigio dominante con una striscia di mare di un blu potente. “Poesia e delicatezza si conoscono bene, ma non si possono dire più di tanto…”
De Pisis, a cura di Pier Giovanni Castagnoli con Danka Giacon, Museo del Novecento, fino al 1° marzo 2020.
Immagine di copertina: Filippo de Pisis, Ponte di Rialto, 1947, Olio su tela, 64 × 99 cm. Collezione privata. Courtesy Galleria Tega e Farsetti Arte © Farsetti Arte © Filippo de Pisis by SIAE 2019