Patrucco e Mirò in un recital a due voci in cui si accostano in modo banale e superficiale due grandi della musica….
Due voci off prendono la parola nel buio della sala. Sono, dovrebbero essere, Gaber e Brassens, che si incontrano in un apeiron in cui è forse possibile un dialogo tra due musicisti che in comune avevano un nome e un mestiere, non troppo altro. Abituati a vedere il cantautore francese accostato a De André, questo insolito confronto incuriosisce.
C’è modo di entrare nelle viscere dei diversi immaginari, argomenti e ironie propri ai due musicisti, e di trovare vicinanze o discordanze, costruire a partire da lì una relazione, un pensiero che faccia un passo oltre, che entri dentro e poi ribalti la prospettiva, che riesca a essere spiazzante.
L’esperimento potrebbe rivelarsi interessante, intenso, ma perché questo accada occorre un lavoro accurato, che scenda in profondità. Purtroppo Degni di nota. Tra Gaber e Brassens si ferma in superficie, tanto nel testo quando nella messa in scena. Di studio sulle parole dei due cantautori non ce n’è, dialogo tra loro nemmeno: solo, all’inizio e alla fine, le due voci off posticce (addirittura, l’accento francese di Brassens viene amatorialmente marcato con una ridicola erre moscia) si scambiano poche frasi, non troppo significative. Per il resto, le loro canzoni servono da intermezzi al testo di satira politica di Patrucco. A La mauvaise réputation segue il Conformista, accostamento scontato e forse non così accorto: come mettere insieme due poesie, di poeti completamente diversi, perché entrambe parlano d’amore. E così via. Brassens è tradotto in italiano: un buon lavoro, ripreso da Segni (e) particolari – Alberto Patrucco e Andrea Mirò cantano Georges Brassens, disco del 2014, composto da 13 musiche di Brassens inedite, prima, in italiano. In scena Patrucco e Mirò, però, si limitano a una restituzione scolastica e ordinaria delle canzoni, senza fantasia, senza vera interpretazione.
Così, da una parte c’è la musica, fredda, giustapposta al testo di Patrucco. I due artisti sembrano chiamati in causa senza motivo, inseriti addirittura nel titolo forse per attirare un target diverso da quello che, spontaneamente, sarebbe venuto a vedere questo tipo di satira politica che, con loro, nulla ha a che fare.
Battute facili, su temi rischiosi – perché facile è dirne banalità: i ricchi, che comunque stan meglio dei poveri; il rapporto tra uomini e donne, con clichés d’antan; gli italiani; i ladri; le banche che rubano; la televisione che fa schifo. De Andrè direbbe “se non del tutto giusto quasi niente sbagliato” – però quasi tutto già sentito e quasi tutto molto, molto vecchio: Alberto Patrucco e Antonio Voceri, autori del testo, vanno a recuperare personaggi ed episodi terribilmente datati, come quello di Nathan Falco, il figlio di Briatore che nel 2010 la Gregoraci aveva dichiarato molto turbato dal sequestro dello yacht di famiglia (il bambino aveva due mesi).
Di grave, in tutto questo, ci sono due cose: la prima è aver scomodato due autori significativi come Gaber e Brassens, averli volgarmente accostati e utilizzati, senza cura e senza pensiero, per un testo che nulla ha a che vedere con loro, distante nella forma e nella sostanza da quegli sguardi sulla realtà singolari e intelligentemente ironici; la senconda è aver (ri)proposto una comicità trita e ritrita, priva di ricerca, che non inventa niente e non propone alcuna domanda, non stimola pensiero, non sposta, a un pubblico che ride e crede di essere andato a teatro e di essersi portato via riflessionim di aver ascoltato voci “dissacranti” (come più volte è stato definito questo spettacolo) sulla realtà, quando invece dal testo, ai contenuti, alla gestualità di Patrucco (Miro’ si limita a suonare, ha una bella voce, il suo ruolo d’attrice è limitato a quello di spalla), tutto rimane estremamente facile e televisivo.
Salvo, verso la fine, una serie di epitaffi immaginari di “vips” vivi e morti, a cui bisogna riconoscere un’arguzia e un’ironia più sottili ed efficaci.
Di valore anche il lavoro dei tecnici: belle e accurate soprattutto le luci. Inoltre sono “degni di nota” i musicisti: Daniele Caldarini (pianoforte, tastiere), Francesco Gaffuri (basso, contrabbasso elettrico) e Giuseppe Gagliardi (batteria, percussioni), a cui vanno complimenti senza riserve.